Nell’Antico Testamento è scritto: «Anche la cicogna nel cielo conosce i suoi tempi; la tortora, la rondinella e la gru osservano la data del loro ritorno» (Geremia, VIII, 7). E anche: «Forse per il tuo senno si alza in volo lo sparviero e spiega le ali verso il sud?» (Giobbe, XXXIX, 26).
Certo che no: lo sparviero vola verso sud per sopravvivere, con la promessa che in primavera potrà tornare a casa, dove è nato e cresciuto.
Come dimostrano questi brani, da molto tempo gli esseri umani sanno che alcuni animali migrano. Nonostante questo, ancora nel Settecento c’erano studiosi convinti (da Aristotele) che gli uccelli si dividessero fra migratori e ibernanti, dove questi ultimi perdevano le penne e trascorrevano l’inverno in letargo come ghiri e marmotte, oppure che si trasformassero in rane negli stagni. Poco più di 200 anni fa, per uno studioso inglese le rondini migravano nientepopodimeno che… sulla Luna: volando nello spazio siderale, impiegavano circa sessanta giorni per raggiungere il nostro inospitale satellite, e se questa teoria è sbagliata – si chiedeva l’autore – dove altro potrebbero andare a trascorrere l’inverno?
Dove mancò il buon senso arrivò, dal 1890, la pratica dell’inanellamento degli uccelli per opera del preside di liceo e appassionato ornitologo Hans Christian Mortensen, pratica che di lì in poi si sarebbe diffusa in tutto il mondo e che avrebbe fornito una enorme e preziosissima quantità di informazioni.
Nel 1956 (nel 1970 in Italia) viene pubblicata la prima edizione del libro Le migrazioni degli uccelli di Jean Dorst (1924-2001), scienziato e ornitologo francese di fama mondiale che finalmente esamina l’argomento in modo approfondito e scientifico. Come scrive nell’introduzione:
La migrazione designa un complesso di spostamenti periodici, che si verificano nel corso del ciclo il più delle volte annuale di un animale, tra una area di riproduzione – qualificata come patria – e un’area dove l’animale soggiorna per un tempo più o meno lungo (escluso il periodo della riproduzione) e che egli poi abbandona per tornare a riprodursi nella prima.
Perché lo fanno è intuibile: seguono condizioni ambientali migliori, quelle che favoriscono la nutrizione e la riproduzione, mossi dal variare delle condizioni ambientali.
Ma la domanda più importante rimane: come fanno i migratori a volare per migliaia di kilometri e tornare esattamente nel luogo dove sono nati?
Senza confini
Dopo più di 15 milioni di inanellamenti arriviamo a oggi, dove molto è stato scoperto e poi raccontato nel libro Senza confini – Le straordinarie storie degli animali migratori (Codice edizioni, 2019, 204 pp., 18 euro) scritto dalla divulgatrice scientifica Francesca Buoninconti. Un libro che ha il grande merito di raccogliere in modo accessibile, documentato e appassionante la maggior parte delle affascinanti migrazioni del regno animale, in un racconto scientifico di facile lettura capace di far fare al lettore molti giri del mondo, in volo fino a 8000 metri o in gelide bufere, nelle potenti correnti oceaniche o in assolate savane.
Ci sono tanti uccelli straordinari in queste storie. Per esempio il falco dell’Amur (Falco amurensis), che parte dalla Mongolia, fa tappa in India/Bangladesh e riparte quando parte anche la preda che gli sarà vitale per il lungo viaggio: la libellula frecciaerrante (Pantala flavescens), la quale per disporre dell’acqua dolce e tiepida di cui ha bisogno per riprodursi segue i monsoni in un tour che arriva a toccare i 18.000 kilometri, dall’Est asiatico al Sudafrica e ritorno.
Oppure la sterna artica (Sterna paradisaea) alla quale spetta l’indiscusso record mondiale di migrazione: nonostante il suo misero etto di peso, in un anno può arrivare a volare per 80.000 km, spostandosi ciclicamente fra artico e antartico!
Ma non ci sono solo uccelli e insetti da record come la farfalla monarca o come i pinguini che in inverno percorrono in mare aperto 10.000 kilometri. Il libro racconta anche di tartarughe marine, balene, salmoni, pipistrelli, rospi. Di elefanti e della loro memoria prodigiosa, del loro olfatto e degli ultrasuoni che utilizzano per comunicare. Di caribù che compiono la migrazione terrestre più lunga fra i mammiferi, oppure delle “migrazioni verticali” che le anguille compiono ogni giorno, dalle acque superficiali dove nuotano di notte agli oltre 500 metri di profondità dove vanno a rifugiarsi e a “rinfrescarsi” nelle ore diurne.
Oppure gli gnu, che tra il Masai Mara e il Serengeti danno vita a quella che viene chiamata la “Grande migrazione”, durante la quale – «incuranti dei confini umani» – mettono al mondo circa 500.000 piccoli che devono fin da subito lottare per sopravvivere ai pericoli della savana e ai pericoli della desertificazione che avanza e riduce l’erba disponibile.
La migrazione degli gnu è circolare e ciclica, si ripete anno dopo anno, con un percorso leggermente diverso. Tiene conto dell’andamento delle piogge, dell’alternarsi delle stagioni, del tempo necessario alle piante e all’erba consumata per germogliare nuovamente. Inoltre l’erba mangiata ritorna al suolo come letame, fertilizzante naturale mescolato dallo stesso calpestio di quattro milioni di zoccoli che marciano fra Tanzania e Kenya. Mentre gli gnu che non sopravvivono alla lunga marcia tornano alla polvere, alimentando un intero ecosistema pluviale. Non a caso questa “great migration” […] incarna alla perfezione il “cerchio della vita” e il suo delicato equilibrio. [p. 150]
Come fanno dunque questi e molti altri animali raccontati nel libro a ritrovare la strada per quella che Dorst chiama “patria”?
Si è scoperto che è un insieme di più fattori: stelle, landmarks, vista, udito, olfatto, geni, cultura, tutti a quanto pare in varia misura uniti dalla percezione del campo magnetico terrestre, ovvero quello che viene definito “senso magnetico”: «grazie a delle particelle di magnetite, contenute in alcune cellule del sistema nervoso centrale, in grado di orientarsi come l’ago di una bussola» [p. 64].
Una rondine fa primavera
Il senso magnetico ce l’hanno naturalmente anche le rondini e i rondoni che fortunatamente, in primavera e in estate, affollano i nostri cieli con i loro garriti e le loro acrobazie giocose (senza dimenticare che le due specie – per quanto apparentemente simili – non hanno alcuna parentela genetica: si chiama convergenza evolutiva e i rondoni sono prossimi ai colibrì, non alle rondini).
Se una rondine non fa primavera, sappiamo comunque che di lì a poco arriveranno anche tutte le altre, fiduciose di quella “promessa del ritorno” a casa che molte migliaia di anni di esperienza ed evoluzione hanno loro trasmesso. Dopo un inverno trascorso nell’Africa subshariana a mangiare insetti, tornano nella più mite Europa per poter deporre, covare e crescere i pulcini che una volta involati – a loro volta – ripeteranno questo ciclo antichissimo. Grazie alla pratica dell’inanellamento e al libro Senza confini possiamo immaginare il loro viaggio con più precisione. Non più solo “Africa subsahariana”, perché la maggior parte delle rondini europee trascorrono l’inverno esattamente in Nigeria.
Una sola Terra
In aprile, quando vediamo le prime rondini, cosa vediamo veramente? Vediamo gli effetti della casuale inclinazione del piano terrestre. Quei 23° 27′ rispetto alla perpendicolare al piano dell’eclittica, forse causata dall’impatto con uno o più meteoriti in tempi remotissimi, insieme alla rivoluzione della Terra intorno al Sole e all’ottimale distanza fra i due corpi celesti. Tutto questo produce le stagioni.
Le stagioni, come ci insegnano fin da bambini, sono quattro e sono preziose, perché decidono della vita e della morte di un numero enorme di specie animali e vegetali, nonché delle nostre vacanze al mare e dei raffreddori che ci becchiamo in inverno. I proverbi popolari abbondano di riferimenti alle stagioni, perché le stagioni ritmano il ciclo dei raccolti e senza raccolti (senza cibo) si muore. Nel mondo animale, a quanto è dato sapere, non hanno proverbi, ma i cicli di abbondanza e scarsità sì, ce li hanno eccome. Ed è così che molte specie animali migrano, cioè intraprendono viaggi in modo ciclico per nutrirsi e riprodursi negli ambienti che offrono le condizioni più favorevoli.
L’Italia non è un paese uguale agli altri. Al netto di ogni patriottismo, la forma del nostro Paese è per sua stessa conformazione un “corridoio naturale” che aiuta gli uccelli migratori a tornare a casa. Il grande nemico degli uccelli è infatti il mare, che va sorvolato il meno possibile perché privo di correnti ascensionali (che si formano grazie al calore solare raccolto dalla terra, dalle rocce e anche dalle città) e perché la maggior parte delle specie se finisce in mare non è più in grado di rimettersi in volo. Se sei un migratore e cadi in mare, sei morto. Se voli sul mare per più tempo del dovuto, muori di fame e di sete. «In caso di venti contrari, gli uccelli migratori consumano rapidamente le energie accumulate sotto forma di grasso e, a volte, arrivano a digerire persino il loro stesso intestino» [p. 17].
Ecco così l’importanza delle isole e dei “corridoi naturali” come il nostro stivale. Un’importanza che andrebbe valorizzata, non solo ricoperta di asfalto e cemento.
A questo proposito (il rapporto che un popolo ha con l’ambiente) è bello ricordare come hanno risolto in Wyoming il problema dei cervi che migravano attraversando una importante superstrada, provocando pericolosi incidenti: con sei sottopassaggi e due cavalcavia che consentono agli animali di superare quell’incomprensibile e mortale manufatto umano che è la strada.
Seppur considerati alla stregua della fantascienza in Italia, queste opere di miglioramento sono la norma nel resto del mondo e hanno il duplice vantaggio di preservare la fauna selvatica e di impedire incidenti potenzialmente letali anche per l’uomo… [p. 170]
La scienza che studia gli effetti negativi delle strade sulla natura e il modo di migliorare la vita alla fauna selvatica si chiama road ecology e sarebbe bello arrivarci anche qui, un giorno.
I migratori sanno quando è il momento di partire in base a un ventaglio di stimoli, che comprendono la durata del fotoperiodo, l’alternarsi delle stagioni, l’andamento della temperatura, o l’arrivo delle piogge. E l’alterazione di uno solo di questi fattori può avere conseguenze catastrofiche. [pp. 189-190]
La biologia della conservazione è una “scienza della crisi”, come la definì Michael Soulé […] perché ci si accorge spesso troppo tardi dei danni arrecati. Dovremmo invece agire d’anticipo e tenere bene a mente che per preservare i migratori dall’estinzione è necessario tutelare non solo i quartieri estivi e quelli invernali, ma anche tutto il loro percorso. E questo richiede uno sforzo politico internazionale, perché il loro è un viaggio senza confini. [p. 188]
Tutte queste specie animali che migrano si trovano di fronte a sfide per la vita tutti i giorni, continuamente. A noi resta la sfida più grande: capire le ragioni degli altri (animali, ma anche umani), garantendo loro ecosistemi in salute e una rigida, radicale messa in atto delle strategie per contrastare il surriscaldamento globale, la deforestazione, la desertificazione, il consumo di suolo e la morte evitabilissima di tanti animali selvatici per opera dell’uomo e del suo stile di vita: promettere il ritorno, oggi, è un dovere che dovrebbe riguardare tutti noi e Senza confini è uno di quei libri che possono aiutare le nuove generazioni a formarsi una coscienza ecologica più ampia perché, come ha scritto Jean Dorst, l’uomo non proteggerà mai qualcosa che ignora e che non comprende completamente.
*Aula di Scienze, Zanichelli, 10 ottobre 2019