Potere, denaro e tradimenti. Una trama fatta di intrecci e di alleanze in cui i “buoni” restano in silenzio sullo sfondo mentre i “cattivi” raccontano in prima linea la loro verità, impregnata di ambizioni, incompetenze e interessi. Potrebbe accadere in qualunque luogo e in qualunque epoca, ma il punto di partenza è l’oggi: il fallimento del sistema bancario veneto. Dal crack della Banca popolare di Vicenza e di Veneto Banca prende ispirazione la nuova produzione del Teatro Stabile del Veneto, Una banca popolare, spettacolo scritto da Romolo Bugaro e diretto da Alessandro Rossetto, con Fabio Sartor, Diego Ribon, Mirko Artuso, Sandra Toffolatti, Valerio Mazzucato, Davide Sportelli. La pièce andrà in scena al Teatro Goldoni di Venezia dal 12 al 15 dicembre e poi al Teatro Verdi di Padova dall’8 al 12 dicembre. Sarà una delle nuovissime produzioni che lo Stabile si prepara a presentare nella prossima stagione, da La donna leopardo di Micaela Cescon, alla sua prima regia con questo spettacolo tratto dall’ultimo romanzo di Alberto Moravia (Teatro Verdi di Padova 11-15 dicembre, Teatro del Monaco di Treviso 21-23 febbraio) fino all’Arlecchino furioso della compagnia Stivalaccio Teatro, che ha già debuttato a Venezia e al festival d’Avignone e che sarà al Petit Palais di Parigi il 16 novembre.
Ma torniamo a Una banca popolare di Romolo Bugaro, cinquantasettenne avvocato di Padova autore di tanti romanzi sul Nordest, da La buona e brava gente della nazione a Effetto domino. «La mia è una terra di solitudini, fatta di tante piccole aziende che non fanno rete fra loro. E questo genera ansia, il Veneto è in una regione molto più fragile di quanto possa apparire. Basta un attimo per cadere» spiega lo scrittore, per la prima volta alle prese con un testo teatrale. «Amo molto il linguaggio parlato, per questo ho accetto con entusiasmo la sfida nata dall’incontro con il Teatro Stabile del Veneto. Credo che raccontare certe storie sul palcoscenico possa essere molto utile al dibattito». E perfino necessario, se queste storie accadono attorno a noi, e dunque ci riguardano così da vicino. «La crisi del sistema bancario veneto – prosegue Bugaro – è stata uno tsunami per quella che un tempo era la locomotiva d’Italia, il Veneto. I più importanti istituti di credito sono stati spazzati via, un crack che si è abbattuto come un meteorite su famiglie e aziende, lasciando sconvolti tutti. Non potevo non occuparmene. Io vivo a Padova e in queste storie ci sono dentro. Credo in un corpo a corpo con il presente, sarebbe stato impossibile non occuparsene. Era necessaria una riflessione».
E molti stimoli sono arrivati proprio dal suo lavoro di legale. Ne suo studio sono passati imprenditori e piccoli risparmiatori. «Ho conosciuto tantissime persone che sono state colpite dal crack, quando una famiglia vede all’improvviso i propri risparmi bruciati è una tragedia. Tra le storie più estreme in cui mi sono imbattuto, per esempio, c’è quella che riguarda un signore costretto a vivere in macchina per aver perso casa e negozio. Questa persona è separata e ha due bambine e si vergognava di dire che stava dormendo in auto, finché la situazione è inevitabilmente venuta a galla».
Ma la sua storia e quelle di tante altre famiglie vittime del fallimento sono state lasciate fuori dal palcoscenico. Restano nell’ombra, mentre in scena vengono a galla proprio gli altri, gli artefici del disastro, i banchieri con le loro abitudini al potere, le loro incrollabili certezze e l’incapacità di affrontare la crisi. E poi i notabili, i professionisti, gli imprenditori che fino alla fine hanno fatto affari con le banche. «Partendo da una trama immaginaria che si ispira a fatti fin troppo reali, volevo raccontare la storia dalla parte dei “cattivi”, mostrare l’intreccio di interessi e alleanze, una rete di rapporti apparentemente indistruttibili e che invece sono saltati producendo fiammate di odio. Gruppi conniventi con le banche e uomini della finanza potentissimi….Trovo che sia interessante raccontare chi sono queste persone, gente senza scrupoli che non ha saputo fare il proprio lavoro e che non ha reagito nel modo giusto al crack». E al centro di tutto c’è, ovviamente, il denaro. «Certo, il denaro definisce le nostre identità. Il denaro ha una potenza inaudita e ciò che è accaduto è la conseguenza dell’ambizione sconfinata degli uomini, della loro infinita inadeguatezza a gestire macchine così grosse. Il problema però poi è della povera gente che ha perso il proprio tfr, che si è fidata di banche su cui nessuno avrebbe mai sollevato dubbi e da cui, invece, sono state rapinate. Per questo le persone sono così inferocite».
Ma ora che è stata fatta pulizia, c’è un filo di speranza per il futuro? «Io credo di sì. Purtroppo per tante famiglie è stato un disastro, ma se c’è una cosa positiva in tutta questa faccenda è che i centri di potere sono stati spazzati via e dunque ora si può solo ricostruire».
E chissà che questa storia non possa sbarcare anche al cinema, come è accaduto per il romanzo Effetto domino, film diretto da Alessandro Rossetto e presentato quest’anno al Festival del cinema di Venezia. «L’idea è proprio questa – conclude Bugaro – che di Una banca popolare si possa girare una versione cinematografica, ancora una volta con la regia di Rossetto e con lo stesso cast di attori. Siamo una squadra molto affiatata e insieme lavoriamo benissimo».
*il Venerdì di Repubblica, 4 ottobre 2019