Nello scorso week end, il primo dalle colonne del Corriere del Veneto e il secondo nel corso di un confronto alla serata inaugurale della ItalyPost Factory, due personaggi culturalmente e ideologicamente opposti, Enrico Marchi, il presidente di Save, e Massimo Malvestio, gestore di fondi di origine trevigiana da alcuni anni esule a Malta, si sono trovati quasi all’unisono ad esprimere lo stesso concetto: il Veneto sarebbe (ed è) una regione fortissima, ma si dimostra totalmente incapace di esprimere una classe dirigente capace di progettare e gestire sia il presente che il futuro.
Riferendosi al Presidente di CassaMarca Dino De Poli, Malvestio si è chiesto come sia possibile che, di fronte alla dilapidazione di un miliardo di euro di patrimonio dei trevigiani, nessuno abbia mai avuto da ridire e che, anzi, nel momento in cui De Poli ha lasciato la Fondazione in fallimento, gli sia stata tributata una sorta di standing ovation. Gli innumerevoli esempi di MalaGestio citati dall’avvocato trevigiano nel corso di una indimenticabile serata lo hanno portato alla sconsolata conclusione che, “Gigi Copiello (autore di questo pezzo) ha ragione nel dire che, nel consenso generale dell’opinione pubblica, Zaia non ha iniziative forti, ma che se anche al posto di Zaia ci fosse qualsiasi altro, questa situazione non cambierebbe perché è l’intera classe dirigente del Veneto che detesta le iniziative forti e rifiuta progettualità impegnative”. Ed ha poi concluso “Attribuire questo stato di cosa al presidente della Regione è come guardare il dito anziché la Luna”.
Nelle stesse ore, Enrico Marchi, rilasciava una intervista al Corriere del Veneto nel quale, riferendosi alla battaglia tra Hera e A2A per la conquista di Ascopiave, Aim e Agsm, affermava che “l’autonomia si svuota di contenuti se diamo le strade all’Anas e le multiutilities alle altre regioni”. Una evidente nota polemica sia con il governatore del Veneto, che dell’autonomia si è fatto paladino ma, evidentemente, anche nei confronti di quei due milioni di veneti tra cui gli amministratori locali che l’autonomia l’hanno votata ma che, contemporaneamente, hanno impedito processi aggregativi tra le diverse multiutilities portando alla attuale situazione che vede il Veneto aver perso il controllo di tutte le principali leve di governo di un territorio.
Il riferimento alla vicenda delle strade, passate, nel silenzio generale, all’Anas, aveva peraltro già suscitato gli strali del direttore del Mattino di Padova, Paolo Possamai, che in un editoriale – inchiesta di alcuni giorni fa aveva per primo sollevato la questione erigendola a simbolo delle molte chiacchiere e degli zero fatti nella quale il Veneto nel suo complesso sembra essersi specializzato. Un editoriale, assai apprezzato da molti, a parole, ma di cui lo stesso autore ha probabilmente la massima certezza che non produrrà conseguenza alcuna.
Il dato che quindi emerge da questi tre interventi è che se delle personalità così diverse e trasversali esprimono questo comune idem sentire, significa che la situazione è davvero grave. E la cosa più drammatica – anche da questo punto di vista Malvestio ha ragione – è che non c’è uno straccio di classe dirigente che sembra capace non diciamo di reagire, ma perfino di pensare.
Nei prossimi mesi il Veneto andrà a delle inutili elezioni regionali. Inutili perché il vincitore è già scritto, se non altro per assenza di concorrenti. Ma, quello che è più grave è che, mentre il Veneto declina inesorabilmente rischiando di trasformarsi in un altro Piemonte, non circola nella maggioranza, nell’opposizione, nelle categorie economiche, nelle università e in nessuno degli altri luoghi deputati, una idea che sia una su come risollevare le sorti di questa regione.
Dicono che a volte per ritornare a salire bisogna toccare il fondo. L’esperienza del Piemonte insegna che, se ci si caccia nel tunnel del declino, prima di risalire possono passare molti anni. Sempre che qui rimanga ancora qualcuno.