La fulminante battuta di Maurizio Ferrini in Quelli della notte”, la trasmissione cult degli anni 80, ci aiuta ad esprimere lo stato d’animo di fronte ai recenti drammatici provvedimenti del governo.
Non capiamo perché una epidemia che, stando ai bollettini sanitari di Ulss importanti come quella di Treviso, ma anche a parere di virologhe assunte a opinion leader dei più importanti quotidiani nazionali come Ilaria Capua, non provoca decessi ma al massimo vi contribuisce, debba portare al blocco totale dell’operatività di un intero Paese. Non capiamo perché quattro, cinque, sei o fossero anche centomila contagi dai quali si guarisce riscontrati in un Paese da 50 milioni di abitanti debbano portare a paralizzarlo.
Certo, comprendiamo l’apprensione di chi opera sul campo senza sosta, degli operatori sanitari, dei parenti delle vittime. E comprendiamo l’apprensione altrettanto contagiosa, di chi viene direttamente colpito, e tra questi quella di quel mondo politico che ha visto contagiati collaboratori del Presidente della Regione Lombardia, del capo dell’opposizione Matteo Salvini, del leader del secondo partito di Governo Nicola Zingaretti. Così come comprendiamo l’isteria che ha contagiato le classi dirigenti milanesi che, operando in un contesto metropolitano dove circolano milioni di persone, vivono nell’incubo del contatto esterno e commentano scandalizzati il fatto che, in un pomeriggio primaverile, stanchi di restare rinchiusi per settimane, una parte dei milanesi abbia deciso di dedicarsi a una passeggiata sui Navigli, rendendo così la città un po’ meno spettrale di quanto non la si sia vista in questi giorni.
Capire ma non condividere, però, ora che nei fatti è stata proclamata l’emergenza nazionale, non significa non adeguarsi. Ci sono momenti nei quali una classe dirigente deve assumere le sue responsabilità e questo Governo, male e in ritardo, lo sta facendo. Le mezze misure erano ridicole e tali rimarranno se non verranno immediatamente chiariti alcuni punti oscuri del decreto, prima fra tutti se le attività lavorative devono essere chiuse oppure no. Se l’emergenza c’è si chiude tutto. Se l’emergenza non c’è, si tiene tutto aperto e si gestiscono i focolai. Il governo ha deciso che l’emergenza c’è e quindi sarebbe logico e conseguente chiudere tutto.
Quando questo sarà finito si dovranno fare i conti. È stato un eccesso di zelo? Se si bisognerà vedere fino a che punto, perché una modica quantità di eccesso di zelo in fatto di salute pubblica è tollerabile, mentre un eccesso superiore a una soglia ragionevole diventerà un catastrofico errore. Il blocco è frutto di un problema di insufficienza di strutture sanitarie? In questo caso era forse meglio attrezzarne velocemente a sufficienza che bloccare il Paese. Sarebbe stato più efficiente e meno costoso. Hanno ragione i teorici della chiusura perché sta accadendo qualcosa di molto più grave e non ne siamo a conoscenza? Allora è giusto chiudere.
Domande che al momento rimangono senza risposta. Per cui, per oggi è per i prossimi giorni, anche per chi come noi non capisce, ora si deve adeguare. E in questo momento è dovere civico farlo senza se e senza ma.