L’otto febbraio ho scritto l’ultimo articolo del “Cannocchiale di Delivera”.
Sono passate solo sei settimane ma è cambiato completamente il mondo attorno a noi.
Un virus, che per qualche ragione legata ai pregiudizi che tutti noi ancora ci portiamo dentro ci sembrava potesse attecchire solo nella lontana Cina, non solo è arrivato in Italia, ma ha generato uno stravolgimento socioeconomico senza precedenti. In un contesto di questo tipo non posso far altro che sfruttare questo spazio che ho a disposizione per cercare di analizzare lo scenario che si sta prefigurando.
Considerata la natura di questo format lo farò con focus sul tessuto industriale italiano ed in particolar modo sulle PMI, senza con ciò mancare di consapevolezza nel sapere che il dramma umano e medico che stiamo vivendo ha e deve avere la priorità. Ci sono tre aspetti che, allo stato attuale di una situazione che è con tutta probabilità ancora molto lontana dalla conclusione, ritengo essere i più significativi.
Il primo è il repentino e sostanziale cambio di paradigmi che questo evento ha generato e genererà ancora. Come tutti gli eventi più sconvolgenti che da sempre si presentano di tanto in tanto nella storia dell’uomo, anche in questo caso sono stati spazzati via paradigmi profondamente radicati nella vita delle PMI italiane. Ho avuto modo di vedere adottato lo smart-working in realtà nelle quali era completamente impensabile fino a pochi giorni fa e nelle quali regnava incontrastato il vecchio approccio dell’imprenditoria italiana: “dammi il tuo tempo, prendi i tuoi soldi”.
In Delivera abbiamo ricevuto telefonate ed email che ci chiedono chiarimenti in merito alle metodologie digitali di sviluppo commerciale, ai budget più corretti da allocare e al ritorno del investimento che ci si può attendere. Il tutto da parte di imprenditori che fino a tre settimane fa concepivano solamente la rete commerciale sul campo e possibilmente basata su agenti di commercio a costo esclusivamente variabile. Se c’è un aspetto positivo in quello che sta succedendo è che lo tsunami coronavirus sta fungendo da incredibile acceleratore nel mettere le PMI italiane al passo con i trend che il resto del mondo ha già recepito, cavalcato ed ottimizzato da tempo.
Il secondo aspetto riguarda il DNA di ogni azienda. Mi riferisco alla solidità finanziaria ed alla velocità di adattamento. Warren Buffet, il più grande investitore di tutti i tempi, dice: “Quando la marea scende, si scopre chi nuota senza costume”. Ho ritrovato questa frase citata da un amico imprenditore su LinkedIn durante i primi giorni della crisi. Non potrei essere più d’accordo e ogni giorno, da ormai tre settimane, mi ritrovo a ripeterla almeno una volta. La verità è che questa situazione avrà un impatto pesantissimo su molte imprese ma alcune di esse potranno affrontarla con maggiore serenità e ripartire con maggiore forza non appena ne avremo la possibilità.
E le discriminanti saranno due. Le risorse finanziarie che sono state in grado di mettere in cascina e la flessibilità con cui sapranno adattarsi al cambiamento. Ho avuto modo di ripeterlo spesso in passato ma oggi più che mai ritengo che anche il vecchio paradigma da PMI italiana “imprenditore ricco, azienda povera” sia pericoloso e inadeguato all’interno di un mondo che è diventato sempre più soggetto a cambiamenti rapidi e repentini. Per molti potrebbe essere troppo tardi.
Il terzo aspetto che voglio approfondire è il futuro, il mercato post coronavirus. E lo vorrei fare in modo provocatorio. Cosa accadrebbe se la “nuova normalità” non avesse niente a che fare con la “vecchia normalità”? Mi spiego meglio ipotizzando e cercando di visualizzare uno scenario estremo ma possibile che, in tutta onestà e da imprenditore a mia volta, mi auguro di non dover fronteggiare.
Ipotizziamo che l’essere umano non sia in grado di produrre un vaccino o una cura in tempi rapidi. Ipotizziamo che ci si trovi a dover convivere con questo scenario per un tempo molto più lungo di quanto oggi ci si voglia tutti convincere. Ipotizziamo di doverci abituare a gestire un’emergenza con un modello di difesa “a fisarmonica” che ci costringa a ridurre i nostri contatti sociali in luoghi specifici e per periodi più o meno lunghi a seconda dell’evoluzione che la pandemia potrà avere e delle sue ondate più o meno ricorrenti. Ipotizziamo un mondo costretto a ridurre la mobilità fisica dei suoi abitanti per limitare le contaminazioni tra stati/regioni/città più o meno esposti al virus in un determinato momento.
Si tratta di uno scenario estremo, ne sono consapevole, e, ripeto, mi auguro di non doverlo affrontare ma ritengo anche che non sia del tutto impossibile che accada e che un buon imprenditore debba essere in grado di visualizzare scenari limite per predisporre le azioni eventualmente necessarie per far sopravvivere il suo business.
Ecco, in un contesto di questo tipo, la maggioranza dei modelli di business che stanno alla base delle PMI italiane sarebbero totalmente inadeguati. D’altro canto, altri modelli di business prenderebbero il sopravvento in tempi estremamente rapidi e alcuni aspetti diventerebbero immediatamente il vantaggio competitivo di quelle imprese che fossero in grado di implementarli. Mi riferisco ovviamente alla digitalizzazione totale dei processi, ma anche alla logistica capillare di spostamento delle merci, al trasferimento dell’esperienza utente da luoghi affollati a luoghi a minor partecipazione e a moltissimi altri aspetti. Mi chiedo quante imprese stiano ipotizzando scenari di questo tipo chiedendosi se il proprio modello di business potrebbe essere adattato per trarne un vantaggio immediato.
Che il cambiamento che ci aspetta sia così estremo o meno, porterà certamente con sé enormi opportunità.
Le coglieranno quelle aziende che sono abituate a ragionare sul proprio modello di business in termini strategici. Posso assicurarvi per esperienza diretta che quelle aziende stanno sfruttando questi giorni di difficoltà per farlo.