Essendo noi di una terra, il Nord (dell’Italia), che ha vissuto di retorica contro il Sud (dell’Italia), in questi giorni ci risulta assai più semplice che per altri comprendere perché il Nord dell’Europa ha risposto con un secco No all’ennesima richiesta del Sud (Europa) di cui l’Italia è, assieme alla Grecia, Paese simbolo. I primi a comprenderlo dovrebbero essere proprio quei leghisti come Zaia che hanno predicato l’autonomia delle regioni del Nord e che ora invece strepitano contro l’Europa cattiva che ci tratta allo stesso modo con il quale loro vorrebbero trattare la Calabria.
Ma, a parte questa doverosa sottolineatura, sgombriamo il campo dalle infinite scemenze con le quali in questo paese ci crogioliamo, solo per autogiustificare ogni volta il fatto che siano gli altri a dover pagare i conti delle nostre uscite al ristorante. Ogni crisi, grande o piccola che sia, compresi due giorni di pioggia intensa, diventano per noi la scusa per andare a chiedere “solidarietà” a quella stessa Europa alla quale non perdiamo occasione di sputare in faccia dalla mattina alla sera. Ora che la crisi è seria, mentre noi la stiamo affrontando con il classico vittimismo (ed autolesionismo) italiano che fa sì che i politici facciano a gara a spararla ogni giorno più grossa (leggere le dichiarazioni di Fontana, Zaia, Salvini, Gori, Di Maio per credere), che i sindacalisti riscoprano la loro anima luddista scioperando e facendo chiudere le fabbriche, che i giornali del main stream non sappiano fare altro che amplificare la confusione e il panico, i governanti dei Paesi del Nord stanno lavorando seriamente a gestire i problemi e a trovare soluzioni efficaci a questa Prima Guerra virale.
Quali altri Paesi al mondo, a parte la Cina che di tutte le superpotenze è la più ricca, hanno chiuso le fabbriche? Nessuno! E ogni volta che qualche paese sostiene che in una guerra bisogna combattere non solo per il presente ma anche per il futuro, e quindi decide di tenere aperto come stanno facendo la Svezia o gli Stati Uniti, noi siamo lì con il nostro Massimo Gramellini ad irriderli e a spiegargli che solo gli italiani sono dei geni che hanno capito la gravità epocale della crisi e che, dunque, proprio per questo, devono pagare loro i nostri debiti di ieri, di oggi e del futuro.
E se i paesi del Nord ci dicono “guardate che di voi non ci fidiamo e quindi, se volete soldi, dovete almeno farli gestire a noi” facciamo pure gli offesi e diamo loro l’ultimatum. “O ci date i soldi entro 10 giorni o noi faremo da soli” ha detto Conte. Immaginiamo i sorrisini degli altri capi di Stato di fronte a questa pericolosissima minaccia. “Bravi – avranno pensato – cosa farete con quello che vi rimane in cassa? Un altro reddito di cittadinanza per tutti? Un’altra quota 100 per mandare in pensione i dipendenti pubblici? Chiuderete le fabbriche fino a settembre e garantirete a tutti di poter andare sulle spiagge a carico dello Stato?”.
Di fronte a queste obiezioni, i geni politici italici, incluse persone normalmente assennate come Enrico Letta, hanno pensato bene di usare l’arma della minaccia atomica. “Se non ci date i soldi vedrete che in Italia vinceranno Salvini e la Meloni e allora per voi saranno cazzi. L’Europa sarà distrutta dai nazionalismi”. Argomentazione apparentemente seria ma che non tiene conto di due cose. La prima è che se i paesi del Nord dessero ancora un euro all’Italia, i nazionalisti se li troverebbero in casa loro, e allora sì che sarà la fine dell’Europa. La seconda è che la minaccia di rompere tutto la fecero nel passato sia Tsipras che Salvini. Il risultato finale è che sia l’uno che l’altro hanno dovuto fare marcia indietro rapidissimamente per evitare di trascinare i loro Paesi nel baratro.
E allora che fare? Nella vita reale, quando si è colmi di debiti e si deve convincere un creditore a darti una mano, quel che serve è dimostrare almeno un po’ di buona volontà. Tradotto in termini semplici per l’Italia, per esempio bisognerebbe fare quello che ha fatto la Slovenia nella crisi del 2008 – 2009, quando gli stipendi pubblici furono tagliati del 10% senza nessuna protesta, e recuperati pian piano nei dieci anni successivi. Oppure, altro esempio, tagliare del 10-15% le pensioni sopra i 1.300 euro al mese. Oppure, almeno per cominciare, tagliare quota 100, gli 80 euro e il reddito di cittadinanza. Provvedimenti che da soli non basteranno ad affrontare una emergenza da almeno 100 miliardi, per cui sarà inevitabile anche una patrimoniale o un prelievo forzoso sui conti correnti. Naturalmente queste saranno misure utili se saranno rapide e nel frattempo riapriremo tutte le fabbriche e i servizi essenziali di trasporto, cominciando lentamente a rimettere in moto un po’ delle attività meno a rischio e gestendo l’emergenza anziani, ospedali e case di riposo, destinando a questo aspetto una parte importante delle ingenti risorse che il governo dovrà stanziare.
Se faremo cose di questo tipo con un po’ di serietà, forse, potremo essere credibili e contare su qualche aiuto dagli altri. Tanto, che lo vogliamo a no, queste cose le dovremo fare prima o poi. Meglio farle prima, quando abbiamo ancora qualche riserva per sopravvivere, che ridurci come i greci che, alla fine, rimasero senza medicinali negli ospedali. Perché se sarà così, tutti quei benpensanti che in nome del “diritto alla salute” ci hanno fracassato gli zebedei in queste settimane portando il Paese alla paralisi, si porteranno sulla coscienza migliaia di vittime innocenti, oltre che fame e povertà. Per salvare questo Paese abbiamo ancora pochi giorni. Sfruttiamoli diventando anche solo per qualche mese, come facemmo con il Governo Monti, un Paese serio, forte e credibile. Non serve invocare Draghi “il Salvatore”, basta diventare seri e responsabili.