A scuola, da ragazzi, ci facevano leggere l’articolo 1 della Costituzione italiana. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. E in effetti, per i governanti dell’epoca il lavoro era un valore, e, per i lavoratori, uno strumento di emancipazione sociale.
Poi, pian piano, negli anni 70, mentre gli olandesi riducevano i loro stipendi pubblici perché il bilancio era andato in leggero disavanzo, noi facevamo la legge che metteva in pensione insegnanti quarantenni con la regola dei 14 anni sei mesi e un giorno. Quei poveri fessacchiotti del Nord, che non capiscono nulla e sono così poco europeisti e solidali che oggi non vogliono pagarci il reddito di esistenza, ci guardavano con gli occhi fuori dalle orbite.
Da lì iniziò un percorso lineare che portò alle assunzioni di decine di migliaia di forestali, alla moltiplicazione di enti pubblici – a partire dalle regioni – con relative assunzioni di personale, alla proliferazione di sedi universitarie con relativo ingaggio di un numero di docenti in alcuni casi quasi superiore a quello degli stessi studenti. Si è poi provveduto a largheggiare con pensionamenti e prepensionamenti, a tenere in piedi compagnie aeree decotte, e, infine, a varare il reddito di cittadinanza, quota cento e ad assumere i mitici e indispensabili Navigator.
Così il nostro debito pubblico è esploso, al punto che, alcuni anni fa, abbiamo rischiato di far saltare l’Euro, la moneta dove ci siamo rifugiati per tenere bassa l’inflazione e fare in modo di non pagare gli interessi pur continuando a produrre debito. Per salvarci, quel galantuomo di Draghi, dovette trasformarsi in tipografo e stampare moneta a go go. Cosa che lo rende un eroe in patria, un po meno per i banchieri centrali tedeschi.
L’unica fortuna che ha fino ad ora permesso a questo Paese di salvare la pelle è stata quella di avere una minoranza di imprenditori e lavoratori che, in silenzio e con molta fatica, ha continuato a stare dentro le fabbriche a produrre reddito e pagare tasse per tutti.
Ma poi è arrivato il CoronaVirus e i nostri governanti centrali e regionali, di destra, di centro e di sinistra, accompagnati da pezzi di quel sindacato che il virus invece di stroncare ha fatto rinascere più ideologico di prima, hanno pensato bene che, anziché dedicarsi a gestire bene le case di riposo e gli ospedali per evitare di accatastare le vittime, era meglio dare al popolo lo scalpo di quelli che hanno chiamato i “prenditori”. Per cui, unico Paese al mondo, si è dato ordine di chiudere le fabbriche. Così, oltre ad avere sulle spalle milioni di dipendenti pubblici e pensionati, la politica ha deciso di caricare a debito anche quei milioni di dipendenti privati che reggeva economicamente il Paese.
Come pagare tutta questa gente? Beh, ovvio, facendo debito e chiedendo all’Europa di essere madre e non matrigna, di essere solidale e non egoista. E poi mica vorrete sfasciare il sogno europeo costringendoci, come avete fatto con i greci, a non falsare più i conti della sanità calabrese, a non finanziare più la nostra compagnia di bandiera, a non sostenere più i Navigator? Non vorrete mica che l’Europa non senta il bisogno inconscio di mandare soldi per pagare i redditi di cittadinanza, gli 80 euro e pretenda magari che i disoccupati anziché starsene sui balconi a cantare le canzoni vadano a raccogliere nei campi i prodotti agricoli che rischiano di marcire?
Dato per scontato questo, i nostri governanti, di destra, di centro e di sinistra, si sono però poi accorti che le imprese stavano per fallire. E si sono chiesti: con cosa le imprese, i commercianti, gli artigiani potevano pagare i mutui, i fornitori e soprattutto le tasse? Certo, avendo di fronte una Europa così cattiva e insensibile e non avendo più un euro in cassa non poteva esserci che una soluzione. Riaprirle, direte voi che avete ancora un po’ di buon senso, di modo che possano tornare a produrre reddito e ricchezza. No, il Governo ha avuto una idea migliore, e ha detto loro di indebitarsi. Non sapete come pagare le varie scadenze? Che problema c’è. Andate in banca e fate anche voi debiti. Tanti debiti. E non vi preoccupate poi di pagarli. Solo i fessi in questo Paese onorano la loro parola e li pagano. Vedrete, qualcuno li pagherà. Magari i russi o i cinesi, tanto la democrazia è un lusso che non ci possiamo più permettere. E poi è un problema che riguarda il domani, non l’oggi.
E’ cosi , con la rottura dell’ultima diga che aveva retto il Paese, quella dell’impresa privata, che, definitivamente l’Italia è divenuta pienamente una Repubblica democratica fondata sul debito. Quanto durerà? Almeno fino al giorno in cui dal debito non sarà affondata. E l’impressione è che quel giorno sia molto vicino.