Avvocato Massimo Malvestio, lei è fondatore della società di diritto maltese Praude Asset Management. Uno dei vostri fondi è stato insignito del Reuters Lipper Fund Awards 2017 come miglior fondo small cap, praticamente la “Champions” dei fondi della vostra categoria, anche grazie all’ottimo risultato conseguito da Cattolica. «Il nostro fondo Hermes Linder acquistò più del 2% del capitale di Cattolica a dicembre 2014. L’ultimo aumento di capitale depresse il corso del titolo facendogli perdere oltre la metà del valore che aveva poco tempo prima».
Sì l’aumento di capitale fu proposto con un fortissimo sconto che abbassò molto i corsi borsistici. E quando avete disinvestito?«Vendemmo tutta la posizione a fine 2017, eccetto 300 azioni, quando il titolo si impennò sopra i 9 euro per l’entrata di Warren Buffet».
Come reputa da quasi ex azionista la cacciata dell’ad Alberto Minali?«Minali rappresenta il mercato, è stato scelto perché è un manager competente. Il presidente di Cattolica Bedoni rappresenta un sistema di potere ed è stato scelto perché garantisce quel sistema, perché sa gestire il consenso e perché sa gestire le relazioni che contano. D’altra parte, veniva dalla presidenza nazionale della Coldiretti mica dai Lloyd di Londra. Il conflitto era inevitabile e il suo esito conferma ancora una volta che non è il mercato a regolare il sistema finanziario italiano».
E perché avevate scelto Cattolica, allora Minali ancora non c’era?«Perché il prezzo era sceso ad un livello tale da scontare – secondo noi eccessivamente – i difetti di quella società. Per la verità, speravo che Bedoni capisse che restare l’unica cooperativa con scopo di lucro quotata in Italia poteva con il tempo essere una posizione insostenibile. Gli avevo suggerito di trasformarla in spa con un limite molto basso al possesso di ciascun socio. Sarebbe rimasta una società non contendibile, sarebbe rimasta a Verona ma sarebbe stata governata con regole di mercato. Bedoni vuole un modello in cui chi comanda non mette i soldi: dal suo personale punto di vista fa benissimo essendo lui il frutto di quel sistema».
Lei è sempre stato molto critico con la gestione dell’attuale presidente perché?«Vogliamo rivedere i piani finanziari degli anni passati? Una dicotomia permanente tra sogni e realtà. Che dire della sottoscrizione dell’aumento di capitale della Popolare di Vicenza sull’orlo del baratro? E della entusiastica partecipazione al fondo Atlante? Molte decine di milioni bruciati in pochi mesi. Bedoni – ripeto – è un uomo di potere e queste cose le ha fatte perché sa gestire il potere. Quando gestisco i soldi degli investitori a me interessa evidentemente altro e basta confrontare la performance di Cattolica con gli altri assicurativi quotati per capire che si può fare di meglio».
Perché avete fatto causa a Cattolica?«Chieda a Bedoni perché non ha iscritto a libro soci un fondo che aveva più del 2% del capitale. Chieda al presidente dei probiviri quante ore ci ha dato per presentarci a discutere del caso».
È stato uno dei primi a denunciare la pericolosità del sistema cooperativo. «Le distorsioni del sistema sono evidenti, chi comanda deve compiacere una base elettorale fatta di decine di migliaia di soci che, il più delle volte, hanno investito 3/4 mila euro. A questi non interessa nulla della gestione. Quando però servono i soldi bisogna convincere gli investitori veri e senza la fiducia di questi i momenti difficili diventano drammatici. Mi pare che gli esempi si sprechino».
Lei fai chiaramente riferimento alla drammatica fine delle banche venete. Però il territorio veronese teme di perdere il suo ultimo baluardo: circa 13 anni fa Verona era la seconda capitale della finanza italiana. «Premesso che io investo per conseguire profitti per gli investitori, io penso che Cattolica possa fare benissimo restando a Verona e restando autonoma. La garanzia dell’autonomia – in un sistema di libero mercato – la dà l’efficienza e la qualità dei risultati. Se il Banco non avesse portato a casa Banca Italease nella solita logica di sistema, forse oggi avrebbe aggregato altre banche e i suoi azionisti non avrebbero sofferto le perdite enormi degli ultimi dieci anni. Verona avrebbe ancora una grande banca».
Ritiene che la struttura cooperativa renda un soggetto più opaco, anche se quotato?«La cooperativa con causa mutualistica ha una funzione insostituibile. La Cattolica però non svolge nessuna attività mutualistica, è quotata in borsa, fa il road show a Londra quando è a caccia di soldi. È una società lucrativa dove chi mette i soldi non conta nulla e dove chi comanda non mette i soldi. Basti ricordare che il cda, quando eravamo investiti, godeva di emolumenti per circa 7 milioni, era pletorico».