“Se vogliamo far tornare grande il Veneto dobbiamo renderlo attrattivo. E una delle leve fondamentali è cercare di portare grandi multinazionali dei settori più innovativi fortemente legate alla reti di subfornitura che in questa regione è particolarmente forte”
Parte così nel rispondere alle nostre domande sul possibile rilancio della sua regione, Federico Visentin, presidente di Mevis, una delle imprese champion del settore della meccanica che oggi – dopo l’aggregazione di Euromeccanica avvenuta alcuni mesi fa – fattura più di 130 milioni, ma che è anche Presidente del Cuoa Business School e vicepresidente di Federmeccanica. Un industriale a tutto tondo, abituato a navigare con successo nel difficile mercato dell’automotive, ma anche con una spiccata sensibilità per il territorio.
Visentin, perché non basta la nostra piccola industria per ripartire dopo questa crisi?
“Noi siamo un territorio nato dalla diffusione di una cultura industriale alimentata da grandi imprese come Marzotto e Zanussi. Da li siamo partiti per costruire un tessuto diffuso di subfornitura. Ma li ci siamo anche fermati. E questo perché non siamo più stati capaci di creare grandi imprese, e, Luxottica a parte, non abbiamo più saputo replicare quei modelli. Dobbiamo riscoprire la connessione virtuosa tra grandi e piccoli e costruire legami forti tra chi guida i processi e chi contribuisce lungo la filiera. Io, come tanti altri colleghi di questi territori, lavoro per l’automotive. E so bene che è così”.
Certo, ma perché attrarre multinazionali è così importante?
Basti che guardi l’Emilia nell’automotive o la Toscana nel lusso. Mi sarebbe quindi sufficiente risponderle che avere multinazionali significa sviluppare intorno a loro un ecosistema di fornitura e subfornitura e una cultura del prodotto. Ma il punto è anche un altro, e riguarda lo sviluppo delle intelligenze e l’attrattività dei giovani, una questione che mi sta particolarmente a cuore come Presidente del Cuoa. Le multinazionali le cose le fanno belle e attrattive. Sedi avveniristiche, spazi magnifici, valorizzano i giovani e le competenze, cose che le nostre piccole industrie faticano a fare. Diventano cioè motori di attrattività che è uno dei fattori che manca di più al Veneto. Se vogliamo essere i più veloci a partire dopo questa crisi drammatica, dobbiamo portare qui le migliori risorse umane e nuovi investimenti.
Cosa ci manca per farlo?
Guardi, le racconto questa vicenda che conosco bene perché riguarda il mio settore. Ad un certo punto Jaguar Land Rover decidono di andare in Slovacchia. Lo hanno fatto per il basso costo del lavoro? Sì e no. Molto presto il costo del lavoro non sarà lontano dal nostro e già ora quello delle figure tecniche in parte lo è. Il motivo fondamentale è stato che le autorità locali hanno costruito le condizioni affinchè i tempi per le autorizzazioni fossero accorciate di 6 mesi. Un semplice provvedimento che ha dato certezza all’investitore e tempi celeri. Ecco, noi dovremmo allestire un piano di questo tipo. Un modello “Ponte Morandi” per attrarre multinazionali.
Ma qualche multinazionale, come Wanbaoo, l’abbiamo attratta, e l’esperienza non è stata felicissima…
Premesso che Maurizio Castro è uno dei manager più bravi in assoluto e che andrebbe coinvolto in una task force per attrarre multinazionali in Veneto, lui si trova ora a fare il Commissario per cercare di salvare una azienda che opera in un settore maturo e dai bassi margini. E lì ha già compiuto miracoli.
Noi abbiamo bisogno invece di attrarre multinazionali su settori innovativi, che ne so tipo una Schneider o, per restare nell’automotive, aziende che stanno investendo nella mobilità del futuro. Abbiamo cioè bisogno di industrie con grandi visioni sull’innovazione e interessate ad investire sul territorio. Ma dobbiamo offrire loro spazi e tempi rapidi. Ecco allora che noi potremmo mettere a disposizione in tempi veloci delle aree riqualificate e bonificate. Posso fare il classico esempio di Porto Marghera, ma anche quello della Fiera di Padova, a due passi dalla stazione e nella città che produce il maggior numero di laureati. Un’area così, invece di continuare a girarci intorno e lasciarla morire, non potrebbe diventare la base di ricerca e sviluppo di una grande multinazionale? Per non parlare di tante aree industriali dismesse che potrebbero essere riqualificate contribuendo così anche alla riqualificazione urbanistica del territorio, magari estendo il bonus del 110% anche ai capannoni.
Ma chi dovrebbe farsi carico di un progetto del genere?
Mi pare evidente che dovrebbe farsene carico la regione. Zaia dovrebbe costruire una task force che lo affianchi e dare impulso ad una politica che porti in Veneto, nei settori dove abbiamo competenze come la calzatura o l’automotive, alcune multinazionali. Come hanno fatto in Toscana con i brand del lusso o in Emilia con l’automotive.
Facile scaricare tutto su Zaia, non crede? Gli industriali non dovrebbero compattarsi su un progetto e contribuire assieme per farlo decollare?
Sì, lei ha ragione e sta toccando il nervo scoperto che riguarda il mondo al quale appartengo. Dobbiamo riconoscere esplicitamente che noi industriali non siamo capaci di stare uniti. Lo ammetto, perché questa è la realtà: ogni volta che ci proviamo finiamo per dividerci. Per questo dico che abbiamo bisogno che sia la politica ad indicare una traiettoria e noi, a quel punto, possiamo seguirla. Scelga Zaia un team di industriali e manager che lo affianchi e decida lui come e cosa fare. Lo ha saputo fare benissimo nella gestione dell’emergenza e sarebbe utile che riuscisse a farlo anche ora. Sono certo che i veneti lo seguirebbero anche questa volta.