Sapete quanti movimenti degli operai sono necessari per assemblare una Panda nella fabbrica FCA di Pomigliano? Sono 54.172. Con ogni probabilità non sapete che ogni movimento è stato misurato nella sua durata e nello sforzo fisico che comporta. Anche il più leggero e insignificante, come leggere le informazioni sul foglietto incollato sulla scocca che ne indica la versione e gli optional. Un apposito software ha calcolato che dare quest’occhiata procura «fatica zero» e dura 0,7 secondi. Non un decimo di più, non un decimo di meno. Leggere quel foglio fa parte delle mansioni stampate su un dépliant chiamato «cartellino» che indica al millimetro che cosa deve fare e quanto sforzo sopporta ogni operaio per la sua quota dei 54.172 movimenti.
La scelta di contrastare la fatica tramite l’uso scientifico dell’ergonomia fluidifica e rende più produttiva l’immensa danza sincronizzata di oltre mille persone per turno che a Pomigliano garantisce la produzione di una Panda ogni 55 secondi. La misurazione computerizzata di appena 0,7 secondi sembra banale ma riveste un’enorme importanza. Non rappresenta solo un’innovazione tecnica, la versione 4.0 della misurazione dei tempi di lavoro che anni fa era affidata agli odiati cronometristi. In realtà si tratta di una lettera di un alfabeto complesso, condiviso da ingegneri e operai, di un linguaggio ponte fra capitale e lavoro. Perché l’ergonomia in fabbrica significa più attenzione alla salute dei lavoratori e al tempo stesso aumento della produttività e della qualità dei prodotti e pertanto costituisce un salto culturale dell’intero mondo della produzione.
Anche intorno a un movimento di 0,7 secondi si gioca il passaggio dalla fabbrica-inferno del Novecento alla fabbrica-digitale, quella che – non per concessione paternalista ma per modello di business – comprime la fatica con l’obiettivo di produrre meglio riducendo i costi, aumentare il valore aggiunto del lavoro operaio, consentire la progettazione comune, fra capi e operai, dei processi di lavoro. Quella misurazione, così modesta, è dunque una leva della fabbrica del futuro. Ovvero di un modello di manifattura che solo così può restare competitiva in Occidente, continuando ad assicurare al territorio in cui è dislocata ricchezza fisica e sbocchi professionali sofisticati e soprattutto un bene collettivo prezioso come la coesione sociale.
Qualcuno definisce tutto questo «umanesimo industriale». È ovvio che questo modello non è perfetto e mostra molti punti critici, in particolare nelle fabbriche dove tuttora è applicato in modo parziale. Le indicazioni emerse con l’«indagine operaia» effettuata qualche anno fa dalla Fim, con i Politecnici di Milano e Torino, basata su 5000 questionari compilati da dipendenti FCA testimoniamo che, accanto ai benefici, per i lavoratori aumenta lo stress causato dalla richiesta di maggior attenzione e soprattutto dalla porosità del tempo delle mansioni, ovvero dal nuovo equilibrio fra ciò che è considerato tempo di lavoro e ciò che è considerato tempo personale. Resta il fatto che l’innovazione dell’ergonomia condivisa in fabbrica è stata introdotta nel plant FCA di Pomigliano già da otto anni. È il fiore all’occhiello del «modello Pomigliano» e delle sue nuove regole in fabbrica che, comunque le si voglia giudicare, consentirono di mantenere in Italia l’industria dell’auto. Un’operazione «industrialista» e il cambio di cultura epocale, che si verificò nella più importante impresa manifatturiera italiana, finirono stritolati nella guerra delle parole di un durissimo scontro sindacale.
Pomigliano, nata per essere la prima grande fabbrica italiana senza fatica, fu paradossalmente deformata in un simbolo di schiavismo e di negazione dei diritti e «venduta» così a quella parte dell’opinione pubblica contraria o fredda verso qualunque forma di innovazione. Questo capovolgimento delle carte in tavola ha avuto effetti molto negativi per il Paese. L’Italia in quegli anni – negli anni immediatamente successivi alla Grande Crisi finanziaria del 2008-2009 – pur essendo il secondo Paese manifatturiero europeo, non si sintonizzò se non marginalmente e con poca convinzione con la tendenza più importante che alla fine del primo decennio del secolo stava emergendo con forza in tutto l’Occidente e che prosegue tutt’ora: il ritorno alla manifattura.
Il libro sarà presentato in forma digitale in data 24 novembre alle 18.00, ecco il programma:
MARTEDÌ 24 NOVEMBRE / ore 18.00
Un evento del ciclo “I Martedì dell’Economia”
GLI OPERAI 4.0 E L’ITALIA NELL’ERA POST MARCHIONNE
In occasione della presentazione del libro Fabbrica Futuro. Lavoro, contratti smart, azienda a bassa gerarchia, rivoluzione della mobilità, tecnologie, FCA, gli operai 4.0 e l’Italia nell’era post-Marchionne di Marco Bentivogli e Diodato Pirone (Egea)
Dialogo tra
Diodato Pirone, giornalista Il Messaggero
Gabriele Caragnano, fondatore Fondazione ERGO
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