I KPI, Key Performance Indicators, sono gli indici che permettono al management di un’azienda di monitorare le prestazioni dei propri processi aziendali. Quasi tutte le aziende, anche medie o piccole, sono ormai consapevoli della necessità di utilizzare KPI per valutare le performance dei propri processi. Delivera si relaziona con molte imprese di dimensioni e mercati diversi. Mi sono tuttavia reso conto che, benché la maggior parte di esse usino i KPI, l’utilizzo che ne fanno, per quanto riguarda processo commerciale e più in generale di business development, sia solo parziale – e che il reale apporto in termini di miglioramento dei processi sia molto basso.
La maggior parte delle aziende tende a monitorare esclusivamente i risultati dei propri processi commerciali e, nello specifico, alcuni risultati come il fatturato, l’acquisito (o totale degli ordini ricevuti in un certo lasso di tempo), la marginalità, il tasso di crescita e la penetrazione di mercato. Ogni volta che mi capita di imbattermi in questo tipo di scenario ripenso ad una citazione di Warren Buffet: “Nel business lo specchietto retrovisore è sempre più nitido del parabrezza.” Estremizzando, mi chiedo se avrebbe senso guidare un’automobile guardando esclusivamente lo specchietto retrovisore che, seppur perfettamente nitido, ci mostra solo i risultati della nostra guida negli istanti precedenti senza però supportarci nel condurre il tratto di strada che stiamo per affrontare. Il fatturato (anche se aggregato per area geografica, responsabile commerciale o linea di business), l’acquisito o la marginalità sono quello che vediamo nello specchietto retrovisore. Questo non significa che non siano importanti, io stesso conosco perfettamente le evoluzioni del fatturato della mia azienda, ma non sono i parametri corretti per guidare e migliorare l’efficienza un processo di business development.
Di recente è comparso un nuovo acronimo: OKR.
Il libro “Measure What Matters, OKRs: The Simple Idea that Drives 10x Growth” di John Doerr, che ha reso questo acronimo celebre (“Rivoluzione OKR” il suo titolo nell’edizione italiana), focalizza l’attenzione sull’identificazione degli obiettivi chiave e la misurazione dei risultati per raggiungerli. Si tratta di una visione certamente condivisibile. Non la ritengo però così rivoluzionaria. Onestamente credo possa essere ritrovata anche leggendo con un minimo di giudizio critico Peter Drucker, che ha studiato e teorizzato il “management by objectives” già a partire dagli anni 60. Il merito più grande degli OKR è certamente quello di aver creato un nuovo brand “mainstream”, spendibile e attrattivo, del quale anche il mondo del management subisce un forte fascino.
Attenzione: se interpretati correttamente (focus sugli obiettivi e sui risultati di livello più operativo) gli OKR servono, non c’è dubbio, ma il problema è che in molti casi le aziende hanno semplicemente sostituito l’etichetta KPI con quella OKR sulle dashboard riassuntive del fatturato mensile. Tutto ciò premesso, qualunque etichetta si voglia dare, credo ci sia un aspetto fondamentale e imprescindibile che deve essere misurato e rappresentato da un set di indicatori di processo commerciale. Mi riferisco alla relazione tra gli obiettivi, le azioni in essere e i risultati.
Torniamo all’esempio dell’automobile di Warren Buffet in cui la vista dal parabrezza è poco nitida. Per guidarla al meglio, ciò di cui avremmo bisogno è l’aiuto di sensori che ci segnalino le relazioni tra i nostri obiettivi (rimanere all’interno della carreggiata seppur continuando a viaggiare a velocità di crociera), le nostre azioni (giriamo il volante, cambiamo le marce, acceleriamo, freniamo) e i risultati che otteniamo (ci avviciniamo troppo al bordo estremo della carreggiata, alla linea centrale, alla vettura che ci precede, le gomme posteriori perdono aderenza o la coppia motrice non si trasmette adeguatamente al suolo).
La guida autonoma delle autovetture che Tesla sta gradualmente imponendo come nuovo standard è stata resa possibile proprio grazie alla realizzazione di sensori che misurino questi aspetti e che possano di conseguenza retroazionare un comando “correttivo”. Il tutto in continuo.
In sintesi, gli indici realmente di aiuto per monitorare, misurare e migliorare un processo di business development sono quelli che rappresentano le relazioni tra gli obiettivi, le azioni e i risultati.
Ogni azienda è diversa e dovranno essere progettati sulla base dei singoli processi, ma possiamo fare qualche esempio.
Un’azienda che lavora su commessa producendo prodotti meccanici ad alto valore e basse numerosità, al fine di traguardare un ipotetico obiettivo di conversione > 30%, potrebbe scegliere di monitorare l’aumento del rapporto di conversione tra offerte e ordini (convertion rate) al variare del numero e della tipologia di follow up sulla singola offerta.
Un’azienda che vende software alle imprese potrebbe scegliere di misurare il numero di meeting commerciali introduttivi generati da differenti fonti di lead generation a parità di investimento (campagne di inbound marketing, social selling su Linkedin, telefonate di presentazione, organizzazione di Webinar) e con l’obiettivo di costruire un processo di lead generation a ROI > 15%.
Un’azienda che produce componentistica automotive potrebbe scegliere di misurare la capacità di produrre cross selling (ampliare la presenza sullo stesso cliente vendendo anche prodotti diversi) monitorando l’aumento medio del numero di codici articolo venduti per cliente al variare delle azioni commerciali specifiche di proposta di prodotti complementari.
Evidentemente gli esempi potrebbero essere moltissimi, ma l’aspetto fondamentale è la capacità di costruire KPI che monitorino la relazione tra gli obiettivi specifici, le azioni messe in essere e i risultati incrementali prodotti. Solo in questo modo si ottengono indicazioni chiare che permettono al management di correggere, modificare e migliorare i processi, oltre che la possibilità di scalare più facilmente il processo stesso in quanto se ne conoscono gli ingredienti di successo.
Un istruttore di guida, ingaggiato per migliorare la nostra capacità di condurre l’automobile, si focalizzerebbe nell’osservazione delle nostre azioni e dei risultati che queste generano e ci insegnerebbe a modificare le azioni al fine di modificare il risultato che esse producono.
Certamente non ci suggerirebbe di guardare più spesso lo specchietto retrovisore.