La vita di una Corporate academy è un po’ come un viaggio: c’è all’inizio una meta sufficientemente chiara, ma durante il percorso accade di aggiungere tappe inizialmente non considerate e che si rivelano interessanti.
Spesso, infatti le aziende partono da un obiettivo interno, che è quello di migliorare la qualità, l’incisività e la rilevanza delle esperienze formative. In questo caso l’obiettivo è di superare l’occasionalità nell’attivazione di corsi “spot” creando metodo, stabilità, raccordo tra le iniziative, possibilità di misurare l’impatto di breve e medio termine della formazione sui risultati aziendali.
Anche grazie alla nostra esperienza di supporto alla creazione di numerose Academy aziendali, abbiamo visto come nel tempo emerga in genere un secondo focus delle academy: nasce la consapevolezza che l’impresa è portatrice di un know-how distintivo e strategico, che consiste, tra l’altro, di una combinazione di routine organizzative, competenze di persone e team, valori aziendali e imprenditoriali. In questa fase spesso le academy individuano un gruppo di “knowledge expert”, persone che dedicano una parte del loro tempo a “rendere esplicita” e trasmettere ad altri la conoscenza. Anche in questa attività serve metodo. “Saper fare” non coincide con il “sapere di saper fare”. Acquisire la consapevolezza del saper fare è la premessa per condividere in modo efficace saperi e competenze, anche nei contesti dei sempre più frequenti cambiamenti tecnologici e organizzativi.
Pur nella pluralità di forme, le academy iniziano a configurarsi come luoghi e snodi in grado di fornire esperienze formative e relazionali necessarie per trasmettere e consolidare la specifica cultura organizzativa aziendale. Ad esempio, offrono ai nuovi collaboratori opportunità strutturate di “integrarsi” nell’organizzazione respirandone il “profumo”, così come avviene per le imprese multi-localizzate per connettere il nucleo originario e le nuove sedi dell’impresa.
La terza fase delle academy – forse più interessante, creativa e innovativa – riguarda le academy che “vanno fuori di sé”, ovvero che escono dal perimetro organizzativo per avventurarsi in relazioni virtuose. In alcuni casi erogano servizi ad alto valore cognitivo ai clienti (es installatori, rivenditori, attori del retail) in altri casi si collegano con nodi delle reti di conoscenza (Università, centri di ricerca e di formazione, competence center) e con gli ecosistemi di prodotto attraverso progetti mirati, quali lo sviluppo di tecnologie produttive ad alto contenuto digitale. In questa fase la conoscenza non è solo diffusa all’interno dell’organizzazione ma attraversa, arricchendosi nei processi di innovazione, i confini porosi tra l’Academy e il mondo esterno, in entrambe le direzioni.
Tutti questi aspetti arricchiscono la competitività e contribuiscono a giustificare l’investimento sulle academy da parte di un numero crescente di imprese: trend che può apparire controintuitivo, visti i “piccoli grattacapi” che le aziende hanno attraversato negli ultimi due anni e che potrebbero far pensare a un rinvio di simili iniziative. Si possono tuttavia aggiungere altre parole chiave che collocano i progetti di nascita e sviluppo delle academy in piena sintonia con i tempi.
Una prima coppia di concetti è il rapporto tra pensiero e complessità. Gli ultimi due anni si sono incaricati di mostrarci la difficoltà del pensiero lineare (la razionalità causa – effetto) nel comprendere e modellizzare fenomeni complessi e non ripetitivi, come l’oscillazione dei mercati o la “tenuta” delle supply chain. Le academy intelligenti possono offrire elementi di pensiero (sic!) complesso e diventare occhiali per osservare la propria professionalità e il mondo attraverso questa prospettiva, con la consapevolezza che molti rassicuranti “strumenti” si rivelano oggi utensili concettuali spuntati o peggio fuorvianti.
Un’altra coppia di concetti c’entra con la percezione delle imprese da parte dei collaboratori attuali e potenziali: il rapporto tra benessere organizzativo e l’affidabilità dell’impresa. In tempi di retorica attorno alla Great resignation, nel patto psicologico tra collaboratori e organizzazione un’academy può diventare un contenitore responsabile e aperto: non solo luogo di efficienza e di “teaching” ma spazio plurale in grado di “con-tenere” e di “ascoltare”, un crocevia di persone e di intenzionalità che contribuisce a rendere l’impresa affidabile nel senso suggerito da Giuseppe Varchetta, ovvero in grado di generare fiducia e speranza.