Spesso, quando vogliamo avere o comperare qualcosa, la chiamiamo con il marchio commerciale: ad esempio, chiediamo al bar un “caffè Hag” per chiedere un caffè decaffeinato. Talvolta accade invece che due espressioni usate in modo generico, come “bottega” e “veneta”, una volta fuse insieme diventino un marchio affermato e prestigioso, come lo è la “Bottega Veneta”.
Possiamo dire che il commercio è strettamente legato ai marchi, alla loro riconoscibilità, al ricordo che serba il consumatore. Per questo la pubblicità ripropone con insistenza prodotti contrassegnati dal loro marchio, così che il consumatore associ sempre prodotto e marchio nella propria richiesta.
Il marchio è quindi un tesoro da difendere da accostamenti o imitazioni. La registrazione del marchio a livello italiano o europeo è quindi una operazione necessaria per una effettiva difesa.
L’Italia però è poco sensibile a questa necessità: basti pensare che nel 2023 la Francia ha registrato quasi il triplo dei marchi italiani, che sono stati circa 36.000, mentre la Germania ne ha registrati nello stesso anno più del doppio.
Questa disattenzione da parte delle aziende italiane prima o poi si paga. Infatti se un prodotto ha successo nel mercato, facilmente verrà imitato non solo nella forma e nella funzionalità, ma verrà anche scelto un marchio molto vicino nel suono e nella grafia.
Risulta quindi evidente come sia essenziale, anzi “irrinunciabile”, proteggere il proprio marchio con la registrazione.