Con l’ultimo Microcosmo ho attraversato Milano auspicandone un recupero del suo essere Mediolanum, la città che sta in mezzo al grande nord. Induce una riflessione sui territori dove, più che altrove, ci si ritrova incuneati in uno spazio europeo a sua volta in metamorfosi e crisi di identità nel grande disordine-riordino geopolitico e geoeconomico che viene avanti. Lasciando ad altri i grandi scenari, può essere utile scomporre e ricomporre la composizione sociale sotto sforzo e stressata nel salto d’epoca. Leggendo il territorio come laboratorio dei nessi tra: a) l’alto dei capitalismi politici globali, delle politiche di potenza e del capitalismo delle piattaforme come modello industriale generale; b) la dimensione intermedia e di mediazione delle economie di produzione e di mercato del nostro capitalismo di filiera; c) il basso della microfisica delle vite e delle imprese minute, di quella infrastruttura del quotidiano che oggi è sempre più terreno di estrazione diretta di valore da parte dei flussi. Possiamo così, intravedere filamenti non solo economici che tratteggiano blocchi di composizione sociale e culture collettive.
Nella metamorfosi delle economie sopra le nuvole, si intravede un capitalismo delle reti e delle piattaforme, le nuove industrie globalizzate delle conglomerate finanziarie, delle grandi utilities, della logistica, delle piattaforme, dei grandi sviluppatori urbani, le cui élite manageriali hanno preso il posto delle borghesie industriali. Attori che hanno guidato la trasformazione di Milano in città-mondo, che producono valore industrializzando sfere della vita quotidiana come salute, socialità, formazione, cibo, abitare, mobilità, credito, oggi lavorabili attraverso le macchine digitali fino all’Ai. È il capitalismo delle piattaforme che con la finanziarizzazione dei consumi sostituendo la proprietà dei beni con la vendita dei loro usi, trasforma i vecchi ceti medi urbani. Infatti, sotto le nuvole si agitano le classi di servizio urbane, i ceti delle Ztl, dei professionisti e dei tecnici pubblici e privati, delle classi impiegatizie, dei virtuosi dell’algoritmo, del lavoro scientifico e intellettuale, differenziate per reddito, status e prestigio, ma che condividono visioni del mondo e culture, sebbene in transizione dalla creatività umanistica allo spirito della tecno-scienza. Un blocco sociale insidiato dal salto all’intelligenza artificiale.
Accanto a quella urbana l’altra traiettoria forte riguarda la trasformazione del capitalismo manifatturiero che attraverso l’alfabetizzazione del 4.0, ha esteso le reti produttive oltre le mura della fabbrica, si è addensato negli assi della pedemontana lombardo-veneta e della Via Emilia e qui ha costruito una società «dei produttori» in territori-fabbrica orientati al competere per l’export globale. Un blocco sociale che ha mantenuto lavoro più strutturato, relazioni sindacali, produttività, un minimo di redistribuzione del reddito e welfare, una aristocrazia operaia e di nuovi tecnici, oggi però insidiata dall’incunearsi della rendita tra salari e profitti e dalla crisi inflazionistica, in una geografia centrata sui mondi vitali delle città medie e città-distretto. Un tessuto manifatturiero dell’export che si interroga sul destino del Made in Italy. Sotto le nuvole a livello del suolo le nebbie della sofferenza sociale ed economica che vivono traiettorie di smottamento sociale, demografico e produttivo.
Una traiettoria che oggi comprende anche le periferie sociali nelle città e nelle aree metropolitane, nei quartieri di case popolari, in alcune cinture metropolitane gonfiate dall’impennata dei costi della riproduzione sociale nei centri urbani, luoghi in cui crescono i nuovi ceti popolari attraversati anche dalla questione etnica. Non basta far emergere dalle nebbie il racconto della turistizzazione globale esploso nel post-Covid sull’intreccio turismo-cultura-qualità della vita-cibo, che sta trasformando i centri delle città storiche, i territori del cibo e dei patrimoni ambientali, le piattaforme dei laghi e delle coste brand globali. Una traiettoria di crescita che porta con sé tensioni immobiliari e contrasto tra quotidianità delle popolazioni residenti e congestioni dei flussi turistici. Andando oltre la metafora delle nuvole e delle nebbie si vedono tracce di una «società fuori squadra» in deficit di rappresentanza e visione politica necessaria «in un mondo fuori squadra».