Nel fare inchiesta peripatetica non trovi un imprenditore, una rappresentanza o un sindaco, che non ti parli con artigiania antropologica di spopolamento, inverno demografico e migrazioni. Sono tempi di crisi delle forme di convivenza, coesione sociale scheggiata, sussurrata nella rete corta comunitaria che diventa «io speriamo che me la cavo» sui grandi temi incombenti delle turbolenze geopolitiche. Ti raccontano dei problemi dell’abitare, di un mercato del lavoro tra gig economy e uberizzazione, dei costi dell’energia dei trasporti…, sino allo scomporre e ricomporre il quadro multietnico di una migrazione come speranza rigenerante. Sussurri di realtà che fanno racconto delle vite minuscole che speri diventino sforzo e racconto collettivo sociale. Invece ti ritrovi grida urlate e quotate nella società dello spettacolo dove l’incertezza diventa rancore, paura e una rappresentazione senza rappresentanza. Segno di una società fuori squadra che ha perso esperienza e dolcezza di ascoltare i sussurri che dal basso si fanno domanda sociale. Come se si fosse perso nella bolla ipercomunicante il racconto delle differenze sociali e territoriali. Al nord dalle eccellenze del Barolo e della Ferrero ad Alba, passando per le Brianze manifatturiere che da Milano disegnano il nuovo triangolo industriale Emilia-Nord Est, molti come ai tempi del fordismo, guardano a sud speranzosi di un nuovo esodo per risolvere lo spopolamento. Come fosse solo un problema di vasi comunicanti nascondono sotto il tappeto i numeri della fondazione nord est dell’esodo senza ritorno di migliaia di giovani. Da leggere guardando alle proiezioni Istat dello scenario medio: nel 2080 il Mezzogiorno avrà perso 8 milioni di abitanti contro i 5,2 milioni del Centro-Nord, soprattutto giovani. Numeri presentati a Roma dalla Fondazione con il Sud posti al centro del piano triennale per ridare slancio ai processi di rigenerazione del sud Italia. Altro che pensarsi ancora da fordisti con «un esercito industriale di riserva» a sud. Banalmente verrebbe da dire: «mal comune mezzo gaudio». Altro che gaudio. Rimanda, assumendo il tema di una comunità di destino, al futuro della coesione sociale scheggiata al nord nel produrre per competere e a sud dove rischia di interrompere quel percorso di mobilitazione che la Fondazione con il Sud accompagna partendo dal sociale. Mettendo in mezzo economie ai numeri del Pil tra nord e sud. Nata 18 anni fa da una intuizione (Guzzetti) interrogante la coscienza dei flussi delle fondazioni bancarie (a nord protagoniste del risiko bancario) che hanno destinato risorse facendosi voce e terzo racconto con il sud. Hanno accompagnato una miriade di microprogetti di successo e migliaia di inserimenti lavorativi animando 400 amministrazioni locali, 7 fondazioni di comunità, laboratori del farsi istituzioni di comunità, contaminato 34 enti universitari ed attivato 60.000 social agents nella nebulosa del terzo settore. Avendo con la precedente presidenza di Carlo Borgomeo (Sud il capitale che serve) come barra navigante non l’intervento straordinario dall’alto, ma il monito di Sebregondi che il sociale viene prima dell’economico recuperando il filo rosso dello sviluppo locale, altro dall’iperindustrializzazione dall’alto. Nel piano triennale si continua a tessere e ritessere coprogettando sviluppo locale, ma ponendo il tema grande della rigenerazione della restanza, della ritornanza e dell’accoglienza del capitale sociale a rischio spopolamento. Di fronte al nodo di quanto investire nelle emergenze e sul futuro incombente rispetto al tema dello spopolamento Azzone (Acri) e l’attuale presidente Stefano Consiglio, hanno indicato come fondamentale il lavoro svolto sulle povertà educative intervenendo in 426 istituiti scolastici con 250.000 minori a rischio abbandono. Avendo chiaro, entrambi professori universitari, il rischio dei banchi vuoti in università. Conricercando con i territori si è presentato un piano di lavoro per Fondazioni, Terzo Settore, enti pubblici, imprese, INSIEME contro lo spopolamento al sud. Lo chiedono i tanti giovani e progetti di successo raccontati, a proposito di comunicazione (Minnella) con video e docufilm, altro dalle grida prima citate. Sono tutte voci di vite minuscole che interrogano il tetto di cristallo che a volte pare cementificare differenze sociali e territoriali. Come ci ha ricordato il presidente Stefano Consiglio raccomandando di leggere il piano triennale come un piano a geometria variabile dati i tempi che attraversiamo. Tempi difficili, ma aiuta l’attraversare il portarsi dentro le voci del Sud che bussano interroganti sul tetto di cristallo.