«La C-Corp è un’impresa che con consapevolezza interpreta il proprio ruolo come parte integrante delle Comunità in cui opera e che con intenzionalità si adopera per attivare (o per inserirsi in network già attivi di) relazioni collaborative e cooperative con le persone, le componenti sociali e le istituzioni territoriali, finalizzate alla generazione di benèfici effettiper le Comunità locali che, a loro volta, ne riconoscono il valore comunitario (collettivo) e ne sostengono la crescita».
In questi 491 caratteri (spazi inclusi), scritti da Guido Zovico e da me, c’è la sintesi del lavoro che abbiamo fatto nel 2020 per Padova Capitale Europea del Volontariato nell’ambito del progetto Impresa è Comunità.
Ma andiamo con ordine.
La relazione tra l’impresa e gli ambienti che la circondano (economico, politico, sociale) è una storia lunga oltre un secolo, tormentata e complessa, fatta di alti e bassi e, a dire il vero, un po’ impari.
Nel 1911, Frederick Taylor dà alle stampe The Principles of Scientific Management (L’organizzazione scientifica del lavoro). È il libro che indica la strada da percorrere per ottimizzare i processi, allocare le persone giuste al posto giusto, generare più valore (quasi) per tutti. Il taylorismo, e poi il fordismo, hanno creato anche sconquassi sociali, ma il bilancio di quei principi è senza alcun dubbio ampiamente positivo sul piano della creazione di ricchezza economica totale e di sviluppo di modelli manageriali efficaci.
Le teorie organizzative degli anni successivi addolciscono il determinismo di Taylor, riconoscendo il valore delle persone (dalle motivazioni alle competenze, dagli approcci decisionali ai comportamenti opportunistici), descrivendo il ruolo giocato dalle istituzioni e dicendo molto altro ancora.
Ma si deve aspettare il 1984, per leggere in forma compiuta il lavoro rivoluzionario di R. Edward Freeman, Strategic Management: A Stakeholder Approach, che cambia per sempre il rapporto tra l’impresa e gli ambienti che la circondano.
Da un lato, nell’azione imprenditoriale emerge il tema dell’etica e si apre tutto il filone di studi e di pratiche centrate sulla Responsabilità Sociale d’Impresa, che, al netto di alcuni eclatanti episodi di opportunismo, lascia un bilancio senza dubbio ampiamente positivo in termini di creazione di ricchezza sociale e di cultura della responsabilità (non solo per il proprio interesse).
Dall’altro lato, si afferma l’idea che l’impresa è inserita in un contesto ambientale popolato da stakeholder, cioè da tutti i soggetti, sia interni (proprietà, management, maestranze) sia esterni (rete di fornitori e clienti, autorità pubbliche, sindacati, cittadinanza), che non solo hanno interessi o aspettative nei riguardi di quello che l’impresa fa, di come lo fa e dei risultati che produce, ma hanno anche il potere di condizionarne le scelte.
Quando si entra in questa logica, si capisce in un battibaleno che interesse e potere di influenza sono collegati. Pensiamo alla cittadinanza che ha interesse a che l’impresa, ad esempio, rispetti territorio e ambiente: la cittadinanza diventa stakeholder in quanto si organizza per premere sulle autorità locali con controlli più severi o per boicottare i prodotti di quell’impresa o, più semplicemente, intaccando la sua reputazione sociale.
Tutto bene e tutto giusto, ma non è abbastanza.
Per certi aspetti, con la teoria degli stakeholder, il rapporto tra l’impresa e gli ambienti che la circondano è sempre strumentale, nel senso che conviene scendere a patti con gli stakeholder.
Nel 2011, Heerad Sabeti, in The for-benefit enterprise (apparso su Harvard Business Review, n. 89), illustra le ragioni che spiegano la diffusione delle imprese for benefit e introduce il concetto di Quarto Settore, che nasce dalla convergenza dei vari percorsi ispirati al concetto di for benefit. Non più tardi di martedì 27 aprile 2021, Buone Notizie del Corriere della Sera ha dedicato un intero numero a questo tema.
L’1 gennaio 2016 entra in vigore la L. 28 dicembre 2015 n. 208, che introduce in Italia una nuova forma giuridica per le imprese: la Società Benefit e fa dell’Italia il secondo Paese al mondo (dietro agli Stati Uniti) a prevedere una struttura societaria con la quale, come recitano i commi 376-384, le imprese for profit possono dichiarare che nello svolgimento delle loro attività, «oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse».
Nel 2019, Raghuran Rajan, nel libro Il terzo pilastro. La comunità dimenticata da Stato e mercati (Bocconi Editore), suggerisce di prestare attenzione alle comunità locali, che non sono ologrammi evanescenti ma territori ben definiti in cui le persone vivono in prossimità (fisica) e che coinvolgono le istituzioni locali, gli organismi amministrativi pubblici, l’associazionismo e ovviamente le imprese.
Nel 2020, Guido Zovico ed io proponiamo la C-Corp, intesa come postura che combina e integra valori, cultura, conoscenze tacite e non codificabili, convenzioni sociali che si manifestano nell’orientamento imprenditoriale e manageriale, nelle strategie aziendali, nei comportamenti individuali e collettivi, e che è impossibile tenere separati [1].
La lettera «C» di C-Corp sta per Comunità o Community e si traduce in «Impresa-Comunità», per identificare le realtà che agiscono come parti inscindibili, generative e responsabili della Comunità e che contribuiscono (consapevolmente e intenzionalmente) al benessere e allo sviluppo sostenibile della stessa, ottenendo riconoscimento e legittimazione dalle Comunità che ne riconoscono il valore collettivo e ne sostengono la crescita.
[1] Le C-Corp nel sistema americano identificano una forma d’impresa sottoposta ad uno specifico regime fiscale. Noi in questo contesto l’abbiamo usata con altro significato: ne siamo consapevoli e pensiamo che l’impiego del termine in tale contesto non generi ambiguità interpretative.
* Paolo Gubitta è docente di Organizzazione aziendale e Imprenditorialità all’Università di Padova e direttore scientifico del CEFab di CUOA Business School. È componente del Comitato Etico di Padova Capitale Europea del Volontariato