Nel novembre dello scorso anno, quando gli economisti stimavano una inflazione al 4%, un imprenditore bergamasco ci disse questo durante un incontro: “Chiuderò il 2021 crescendo del 30%, non tanto per i volumi ma per il rincaro delle materie prime. Che l’inflazione non vada almeno al 10% è impossibile. Ma per il 2022 ho talmente tanti ordini in portafoglio che anche il prossimo anno andrà bene”. Non si trattava di un genio incompreso, ma, banalmente, di uno dei tanti imprenditori che incontravamo negli incontri con le imprese Champions e che, come tutti i suoi colleghi, ci raccontava quello che stava accadendo sui loro mercati.
Come Centro Studi ItalyPost da anni abbiamo scelto questa strada e anche ora, a novembre, stiamo realizzando un tour che ci porterà faccia a faccia con ben 10.000 imprese delle 10 più importanti provincie industriali italiane (tra cui Modena, Vicenza, Padova, Treviso, Bologna, Bergamo, Brescia e in Brianza). Già nel primo di questi incontri, a Reggio Emilia, è emerso un dato univoco. Il 2022 non è l’anno della tragedia che in molti prefiguravano. Alla domanda “Quanti di voi incrementeranno il fatturato quest’anno?”, l’intera platea ha alzato la mano. Certo, alla domanda successiva, “Quanti di voi aumenteranno i margini?”, davvero in pochi hanno compiuto lo stesso gesto, indice che la crescita è soprattutto sui prezzi, e dunque non sui margini. Ma il confronto sui margini non può che essere fatto sul 2021, anno che è stato eccezionalmente positivo, nel quale le imprese italiane si sono consolidate finanziariamente con utili da capogiro.
Questa crescita indica anche che gran parte dei rincari di materie prime e di costi dell’energia sono stati scaricati su un mercato che, lungi dall’essere già entrato in recessione, ha mantenuto una domanda sostenuta. Gli stessi annunci scandalistici di alcuni imprenditori forse un po’ troppo furbi, che hanno comunicato la chiusura di stabilimenti a causa del caro energia (è successo per esempio per industrie della carta per imballaggi), in realtà nascondevano più che altro operazioni tese a speculare sul prezzo di vendita. Tanto che, dopo una settimana di chiusura, gli stabilimenti avevano già riaperto aumentando i prezzi, con le stesse aziende che, successivamente, hanno comunicato non solo aumenti monstre del fatturato ma – in questi casi – anche dei margini.
Ecco perché il dato sul Pil (+0,5% a livello trimestrale) non ci ha stupito, mentre ha lasciato quasi tutti di stucco (tranne il Centro Studi di Intesa che parlava di una crescita del + 0,2%). Certo, l’aumento e è stato trascinato più dai servizi legati al turismo estivo che dall’industria che ha rallentato. Ma il rallentamento non è stato certo delle dimensioni che venivano prefigurate. E per capirlo bastava infatti ascoltare gli imprenditori – soprattutto medi e piccoli – che sono il vero e proprio termometro dell’economia. Tutto il resto sono spesso chiacchiere, linee di tendenza elaborate su dati che arrivano sempre dopo che i fenomeni sono accaduti, frutto di algoritmi e non di testimonianze in presa diretta.
Fare previsioni sui prossimi mesi è, per tutti, oggettivamente complicato. Tutti noi sappiamo che inflazioni e variabili geo politiche e perfino metereologiche potranno influire e condizionare l’andamento economico dei prossimi mesi. Per esempio sappiamo già – ce lo hanno raccontato gli imprenditori del sistema moda la settimana scorsa a Milano – che, a causa delle temperature del mese di novembre, l’abbigliamento soffrirà molto. Ma, specifici settori a parte, se dovessimo fare una previsione generale sul 2023 non saremmo catastrofisti – così come non lo eravamo alcuni mesi fa – né sugli effetti della recessione né sul tasso di inflazione. Certo, la crescita potrebbe fermarsi a fronte di una crisi dei consumi dovuti all’inflazione, fenomeno a sua volta molto sottovalutato in fase iniziale e ora forse sopravvalutato. Ma la sensazione che stiamo ricavando dagli incontri è che nemmeno il 2023 sarà drammatico.
Per questo, al netto di altri fenomeni del tutto imprevisti, la nostra manifattura resterà in salute, minata soltanto da un problema enorme del quale nessuno sta pensando seriamente. E cioè una mancanza di manodopera dovuta principalmente a questioni demografiche che impedisce alle nostre imprese di crescere quanto potrebbero. Ma su questo tema, gran parte degli osservatori e degli economisti, ne scriveranno quando ormai sarà troppo tardi.