Le preoccupazioni del presidente di Confindustria VenetoCentro, Leopoldo Destro (nella foto in alto), sull’esigenza di un terzo polo bancario a Nordest vicino al territorio sono tutte condivisibili senza riserve. E’ un fatto, però, che la regolamentazione del sistema bancario è giunta a un tale grado di pervasività che mi pare molto difficile individuare grossi vantaggi dal ripensare la banca in chiave territoriale. Non c’ è più pluralità nel panorama del credito e per ridurre i pericoli se si è arrivati a un sistema – infinitamente più pericoloso nel suo complesso – dove c’ è un unico modello di gestione del rischio.
Destro coglie molto bene un punto: ormai Intesa e UniCredit costituiscono un duopolio. Dopo la crisi del ’29 le banche furono risanate attraverso una compressione e una gestione in via amministrativa della concorrenza. Adesso siamo in una fase di compressione della concorrenza, ma siamo ben lungi dall’ avere un sistema sano: tutte le banche italiane che hanno come core business il credito quotano a una frazione dei mezzi propri. Una prova evidente che il mercato le considera macchine per la distruzione di valore, come sono in effetti sempre state per almeno gli ultimi 14 anni. Che senso ha parlare di patrimonio di vigilanza se è evidente che nessuna banca è in grado di raccogliere nuovi capitali se non al prezzo di trasformare subito un euro in cinquanta centesimi o anche meno?
Destro dice bene che i capitali privati debbono affluire direttamente alle imprese. La disintermediazione del sistema bancario è sicuramente fondamentale. D’altra parte, l’intero sistema bancario rifugge sempre più il rischio di credito e si immagina assicuratore, gestore di patrimoni, venditore di mercanzia varia, alla ricerca di ritorni alti e rischi bassi in un processo che, probabilmente, consumerà definitivamente quel poco di avviamento basato sulla reputazione che è rimasto alle banche.
Secondo me però vi è un problema forse anche maggiore: i costi regolatori per raccogliere nuovi capitali di rischio per le piccole imprese sono esorbitanti. Ho visto quotazioni all’Aim costare importi davvero significativi in percentuale al capitale raccolto, tanto da farmi chiedere che senso avesse la quotazione. La protezione di Stato data a tutti e su tutto ha costi esorbitanti e comprime la libertà e l’ innovazione e soprattutto – in questo campo – discrimina in base alla dimensione dell’ impresa. Si devono ricreare degli spazi per chi non vuole essere protetto dallo Stato e non vuole sopportare i costi della protezione non voluta, assumendosi i rischi che conseguono ( per la verità mi domando se l’esperienza recente non abbia dimostrato che di certe protezioni sarebbe stato comunque vantaggioso fare a meno).