Il calo della domanda di mercato sembra essere la conseguenza più pesante tra quelle che covid-19 sta generando.
Il 63% delle aziende che hanno risposto al sondaggio realizzato da auxiell, Delivera e Italypost, in collaborazione con il Corriere della Sera tra il 7 ed il 14 di aprile, si sono dichiarate molto preoccupate del calo della domanda di breve termine che l’emergenza corona virus sta generando.
Questa, tra tutte le fonti di preoccupazione emerse, si è dimostrata essere la più presente, superiore anche al timore per gli insoluti da parte dei clienti e al problema legato alla gestione dei flussi di cassa.
Segnale confermato anche dall’analisi realizzata e pubblicata da Confindustria il 18 aprile che presenta una sezione specifica relativa a quest’aspetto: l’84,5% delle aziende che ha partecipato dichiara di riscontrare problemi relativi al rallentamento della domanda nel mercato domestico e nel mercato internazionale.
Ritengo che questo fattore sia in assoluto il più importante in questo momento, in particolare se analizzato in relazione alle caratteristiche del tessuto industriale italiano.
In Italia le piccole e medie imprese, le famose PMI, tutte quelle aziende che fatturano tra i 2 ed i 50 milioni di € e impiegano tra i 10 ed i 250 addetti, sono circa 156mila (rapporto Cerved, 2019) delle quali circa 90mila nel solo nord del paese. Nel complesso producono un valore aggiunto che incide per quasi il 15% del PIL italiano.
A queste si aggiungono oltre 4 milioni di microimprese (Istat), realtà che fatturano meno di 2 milioni di € e impiegano meno di 10 addetti.
Quando si focalizza l’attenzione sulle realtà manifatturiere all’interno di questo grande gruppo, ci si imbatte nel tipico modello di impresa che si è imposto in Italia a partire dagli anni settanta e ottanta.
In quegli anni la situazione economica era molto diversa e soprattutto, nella stragrande maggioranza dei casi, le aziende si confrontavano con un mercato in regime di eccesso di domanda.
La domanda di mercato eccedeva la totale capacità disponibile.
Molti degli imprenditori con i quali ho l’occasione di collaborare mi hanno raccontato gli aneddoti relativi alle prime fiere di settore a cui hanno partecipato durante le quali era possibile vendere, direttamente in fiera, la totalità dei prodotti in esposizione.
Un paradigma economico così diverso ha privilegiato la nascita e l’affermarsi di aziende che definisco “di prodotto” ossia il cui focus è stato per lungo tempo quasi esclusivamente orientato allo sviluppo e al miglioramento dei propri prodotti e della tecnologia per realizzarli. La domanda di mercato non era un problema e poteva essere data quasi per scontata in quanto era il mercato stesso a “scovare” i produttori e ad acquistane i prodotti.
Questo modello di sviluppo ha potuto prosperare per molto tempo ed ha iniziato a mostrare i suoi punti di debolezza solamente a partire dalla recessione del 2008-2012. Fortunatamente in molti casi il posizionamento costruito nel frattempo sul mercato, le disponibilità economiche accumulate, le partnership costruite a livello internazionale e il rapporto consolidato con i clienti, hanno protetto i business delle imprese italiane.
Un aspetto distintivo delle imprese che si sono sviluppate in questo contesto e che ho l’occasione di riscontrate molto spesso nel mio lavoro con le PMI, è la loro crescita a macchia di leopardo ossia caratterizzata da un forte sbilanciamento dei risultati sui diversi mercati. Alcuni singoli mercati o singoli clienti incidono in modo significativo sul totale del fatturato dell’azienda, evidenziando come la crescita non sia derivata da una reale strategia di sviluppo ma sia stata, spesso, passiva e talvolta frutto di incontri fortuiti con clienti, agenti o distributori avvenuti del corso del tempo.
Certamente ci sono le eccezioni, alcune aziende lungimiranti hanno capito per tempo che forse era necessario affiancare al focus sul prodotto, un’attenzione almeno paritaria sulla propria strategia commerciale e sul proprio processo di sviluppo al cui interno le competenze strategiche, commerciali, di marketing e, più di recente, digitali, sono diventate fondamentali.
Tuttavia, la mia impressione è che questo gruppo rappresenti tuttora una minoranza.
Tutto ciò premesso, credo che il motivo per il quale oggi molte imprese sono così preoccupate del calo della domanda che stanno riscontrando e che cominciano a percepire sul proprio mercato sia il basso livello di controllo sul proprio processo di generazione della domanda.
All’interno di ogni processo commerciale la fase iniziale è proprio quella di generazione della domanda di mercato e ritengo che oggi la capacità di gestire in modo proattivo questa fase, diventi uno degli aspetti imprescindibili per difendersi da un rallentamento che potrebbe essere importante e duraturo.
Ci sono due aspetti positivi sui quali penso si possa fare leva.
In primo luogo, la quota di mercato delle piccole e medie imprese sul loro mercato è spesso relativamente bassa. In un momento in cui con tutta probabilità si assisterà ad una contrazione del mercato globale potrà essere evidentemente un po’ più semplice contrastare il calo del proprio fatturato specifico se si avrà la capacità di guadagnare un po’ di spazio a scapito di qualche altro concorrente.
Mi spiego meglio.
Quando un mercato totale si contrae del 30%, un player che occupava una quota di mercato del 5% può mantenere invariato il suo fatturato guadagnando poco più del 2% del mercato totale dai suoi competitors.
Al contrario, un player che occupava il 50% del mercato, avrebbe bisogno di guadagnare oltre il 20% per evitare un calo del proprio fatturato.
In secondo luogo, c’è un fattore distintivo che da sempre caratterizza le piccole e medie imprese italiane e che, più di ogni altro, ha contribuito al successo di questo modello di sviluppo. Mi riferisco alla creatività ed alla flessibilità che contraddistingue molte di queste organizzazioni.
Sono convinto che, dirottando un po’ di questa energia creativa al miglioramento delle strategie di sviluppo, dei propri processi commerciali e delle tecnologie a loro supporto, sarà possibile contenere il calo contingente dei volumi.
Potrebbe essere una bella occasione per ripensare e migliorare un aspetto che, storicamente, è stato maggiormente tralasciato e che potrebbe diventare un asset strategico fondamentale non appena il mercato dovesse ritornare ai volumi pre-Covid-19.