Anche il turismo è un flusso che impatta nei luoghi e trasforma il territorio. Non è solo questione di iconiche città premium. Si infratta e cerca con una ecologia della mente l’ecologia dei luoghi. Non è solo questione di piattaforme digitali, di nodi e reti logistiche, così come non è solo questione di arrivi e presenze, di domanda e offerta di servizi. Indicatori di crescita, ma non necessariamente di sviluppo durevole, tanto meno di sviluppo sostenibile. Molto dipende dal venire avanti di una coscienza di luogo in grado di rapportarsi e governare i flussi. Coscienza di luogo che si costruisce nel tempo lento della maturazione di uno spazio di rappresentazione incardinato sul capitale sociale, relazionale e fiduciario nelle comunità, del loro farsi operose, accoglienti e competenti, investendo in progetti di vita e di impresa, di lavoro di qualità, all’interno di una cornice collettiva tenuta insieme da prassi istituenti innovative. Prendiamo il caso della Campania, caso emblematico per la sua collocazione nel Sud, per le ottime performance turistiche e per l’evidente frattura tra aree ad altissima concentrazione di flussi, aree che vivono di sgocciolamento e aree del tutto escluse. All’interno dei diversi sottosistemi campani, il Cilento, area storico-naturale, posta ai margini meridionali del cuore della piattaforma turistica partenopea e il prolungamento amalfitano, rappresenta un contesto emergente alla ricerca di un posizionamento più strutturato nel quadro della progressiva articolazione dell’offerta turistica campana in ascesa. L’area cilentana, formata da una rete di 80 piccoli e micro-comuni con 150.000 abitanti e pochi centri urbani significativi rientrava storicamente in quelle che Manlio Rossi Doria denominò a suo tempo “aree dell’osso” del Mezzogiorno. I 130 Km di coste del Cilento sono da tempo oggetto di valorizzazione sotto il profilo turistico secondo logiche di investimento esogene, concentrate in alcune specifiche località. Questo modello periferico negli ultimi anni ha sperimentato alcuni cambiamenti significativi sotto il profilo della capacità dell’auto-propulsività degli stessi attori con attività riconducibili alla filiera Horeca e alle connessioni con le produzioni tipiche delle aree dell’entroterra montano, ancora sfavorite sotto il profilo della dotazione infrastrutturale dolce, dei servizi logistici e dei collegamenti rapidi di accesso dall’esterno. Le difficoltà demografiche, ancora persistenti, per quanto meno evidenti rispetto al passato delle grandi emigrazioni, convivono con percorsi di qualificazione dell’offerta turistica ed eno-gastronomica facendo leva sui lasciti di una marginalità che prova a farsi “centro” mettendo a valore il vasto capitale ambientale e il multiforme capitale culturale, supportato da nuove leve di restanti e ritornanti che investono su progetti di vita incardinati su una rinnovata operosità, che si compone di cultura dell’accoglienza, di capacità di fare narrazione storico-culturale e di qualificazione enogastronomica. Ad accompagnare ed interpretare questo tentativo di costruire la “fabbrica turistica territoriale” guidata da uno spazio di rappresentazione collettivo troviamo una rete informale di sindaci, di Comunità montane, con il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano che deve assumere il suo ruolo di autonomia funzionale del territorio con l’Università, la rete dei Gal, delle Bcc e l’associazionismo volontario che fa condensa nelle Pro Loco. Tutti assieme disegnano un distretto turistico in divenire, capace di interloquire con le aree forti per fare piattaforma regionale e interregionale sull’asse Napoli-Bari. Un segnale importante di come i territori possono “contare”, fare comunità di destino e non solo “essere contati” da algoritmi, clic e megatrend. Anni fa a fronte della chiusura del flusso dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno si svilupparono Patti Territoriali e Missioni di Sviluppo (De Rita-Borgomeo) per riposizionare partendo dalla domanda socio territoriale il locale nello sviluppo del tardo novecento in metamorfosi. il Cilento fu già allora un territorio con una forte coscienza di luogo. Di quella esperienza se ne ritrova traccia ancor oggi nell’epoca dell’overtourism da flussi. Questione antica, ma ancora fondamentale, se vogliamo che l’industria turistica sia qui per restare come contesto di civilizzazione e veicolo di riproduzione sociale, economica e ambientale.