Stiamo tutti attenendo, con più o meno trepidazione, la tanto agognata “fase 2”: la ripresa, per quanto graduale, del lavoro e di un minimo di vita al di fuori dalle mura domestiche. Si fa tanto parlare in questi giorni del come e del quando; scandendo anche la possibile tempistica delle riaperture, prospettando il prossimo autunno per quella della scuole. E se quest’ultimo punto viene ormai dato per scontato, ce n’è un altro che evidentemente altrettanto scontato non è – e se ne sta parlando pochissimo: ossia che finché le scuole sono chiuse, per chi ha figli non sarà possibile ripartire davvero. E non è un dibattito da relegare nelle retrovie in virtù della bassa natalità del nostro Paese: stiamo infatti parlando di oltre 4 milioni di bambini solo per la scuola dell’infanzia e primaria, che hanno dietro di sé più o meno altrettante famiglie (data l’alta percentuale di figli unici). Aggiungiamoci poi quelli che frequentano il nido e anche parte della scuola secondaria, dato che lasciare a casa da solo un ragazzo di tredici anni (per quanto autosufficiente) è pur sempre abbandono di minore, e abbiamo superato abbondantemente questa cifra.
In assenza di misure più incisive per la conciliazione famiglia-lavoro, arrivare a settembre o ottobre è dura per chi avrà la fortuna di ricominciare a lavorare (o non ha mai smesso). Il congedo parentale attualmente previsto (salvo modifiche nel decreto aprile in arrivo) è di 15 giorni al mese e al 50% della retribuzione per uno dei genitori, e quindi presuppone che si sappia che cosa fare gli altri giorni e che ci si possa permettere la decurtazione dello stipendio; il bonus baby sitter (alternativo al congedo) presuppone che la baby sitter ci sia (cosa non scontata in tempi di isolamento sociale), che sia in regola (altra cosa non scontata nel nostro Paese), e che 600 euro bastino (fossero anche 10 euro l’ora, coprono meno di due settimane); sorvoliamo sulle partite Iva, perché non hanno un datore di lavoro da cui congedarsi e non sempre hanno effettivamente diritto al bonus baby sitter o ad altre provvidenze (le casse previdenziali diverse dall’Inps hanno infatti previsioni a sé stanti), nonché sui precari. E non è vero che “tanto la scuola finisce a giugno”, perché molti genitori, fino a tutto luglio compreso, usufruiscono di attività estive (a costi più contenuti delle baby sitter) che quest’anno non ci saranno, e molti nidi rimangono normalmente aperti fino a fine luglio.
Questa volta, peraltro, sarà difficile anche fare affidamento sulla proverbiale capacità della famiglia allargata all’italiana di provvedere a qualunque cosa: sconsigliabile, se non impossibile, affidare i bambini ai nonni, dato che questi ultimi dovranno mantenere più a lungo misure di isolamento. Anche la tanto decantata didattica online e lo smart working, che pure hanno dato i loro buoni frutti, non possono rispondere alle esigenze di tutti: provate, se ci riuscite, a lavorare da casa con un bimbo di tre anni che di lezioni online non ne segue, e se osate a sedervi davanti allo schermo di un computer per più di dieci minuti di fila è già riuscito a farvene perdere almeno il doppio per rimettere in ordine i guai che ha combinato (e cara grazia che non si sia fatto male o che non abbia tentato di aprire la porta per uscire di casa, visto che proprio ora è arrivato all’altezza sufficiente ad afferrare la maniglia. Perché andateglielo a spiegare che #iorestoacasa).
Il tutto supponendo di avere un figlio sano: perché chi faceva affidamento su centri diurni o su operatori a domicilio per conciliare lavoro e cura di un bimbo disabile ora non ha questi servizi a disposizione, e l’estensione di 12 giorni dei congedi previsti dalla legge 104 non copre tutto il mese. Sorvoliamo sulle conseguenze di non avere un educatore o un infermiere per la salute e lo sviluppo di questi bambini, delle quali si devono comunque far carico i genitori.
Nessuno pretende di avere ricette precostituite, si sa che la coperta è corta e che pretendere di mettere in congedo parentale al 100% dello stipendio chiunque abbia figli da qui a ottobre è roba da Paese dei Balocchi. Certo vanno registrate le meritevoli iniziative di alcune imprese per integrare a livello aziendale quanto previsto dalla normativa (ma anche qui, la partita Iva s’arrangia, come il fante). Però è lecito chiedere alla politica che soluzioni intende offrire dal decreto aprile in poi, dato che per ora non se ne è parlato. Così come è lecito ricordare alla task force per la ripartenza che anche questo è un aspetto su cui non soprassedere.