Con la dichiarazione di emergenza sanitaria nazionale, e la pandemia globale da parte dell’OMS l’11 marzo 2020, è accaduto qualcosa di inaspettato anche nell’universo variegato dei musei del mondo. Su tutte le homepage è comparso un messaggio universale di precauzionale lockdown fino a nuove disposizioni. L’Istituzione permanente aperta al pubblico, secondo la definizione dell’ICOM, ha dovuto reagire tempestivamente a questa necessaria sospensione.
Potrà apparire stridente parlare di musei, al confronto delle priorità di curare i malati di coronavirus e proteggere la popolazione dalle insidie del “nemico invisibile”. Niente di paragonabile a ciò che si dovrebbe temere in caso di guerra, fronteggiandone le conseguenze. Il danno del virus Sars-Cov2 – che fa pensare agli effetti desolanti e distopici, seppur temporanei, di una bomba N – si sta rivelando grave e in prospettiva di proporzione indefinibile anche per il mondo della Cultura e della sua vasta economia legata al turismo. Per coloro che nei musei vivono, lavorano (e oggi rischiano il posto), studiano; come per chi li visita, si è rivelata una scommessa sperimentale: è possibile visitare un museo chiuso?
Dall’inizio del XXI secolo il museo è progressivamente uscito dalle proprie mura con le innumerevoli forme della digitalizzazione e della comunicazione multimediale, basti pensare al potente Google Art and Culture.
A ben vedere si tratta di un processo storico iniziato con la nascita della fotografia, come notò acutamente lo scrittore e politico André Malraux, teorizzando nel 1946 il Musée imaginaire, senza confini, fatto di immagini.
Paradossalmente con la pandemia il Museo immaginario, meta-fisico, ha avuto la sua piena affermazione pratica e teorica.
Milioni di persone chiuse in casa, attraverso i propri dispositivi elettronici, hanno in molti casi scoperto per la prima volta la possibilità di entrare in contatto con un’esperienza inedita di visita virtuale, ipertestuale, fatta di visioni, ascolti, performance e visite in ciabatte da casa, delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, della Pinacoteca di Brera, del Museo Poldi Pezzoli a Milano, dell’Hermitage a San Pietroburgo.
Youtube, Facebook, Instagram le piattaforme social sono diventate strumenti e teatro del Museo Universale e illimitato.
Tutto questo ha un enorme potenziale di conoscenza e democratizzazione del patrimonio, non solo artistico, moltiplicato dal mezzo telematico, che pone una sfida nuova tra il dentro e il fuori del museo, nel confine sempre più impalpabile tra la realtà e l’iper-realtà telematica. Una nuova “economia della cultura” e della conoscenza è possibile da ora in poi, a patto che tutto ciò, come recita la definizione del museo dell’ICOM, sia “senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo”.
Tutto questo potrebbe produrre un salutare salto cognitivo da parte del pubblico e rappresentare una scommessa per chi lavora nell’universo dei musei. Ogni visitatore – ciascuno con le proprie conoscenze pregresse e curiosità – non dovrebbe forse uscire accresciuto dal museo avendo imparato a guardare, a leggere, ad ascoltare, a costruire nessi di significato e a metterli legittimamente in discussione? Ogni museo è testimonianza di una storia culturale materiale e intellettuale che, di per sé stessa, è una lettura, una selezione, un’interpretazione, una speculazione. Il museo in rete è il riflesso ad espansione illimitata di quello fisico.
Il visitatore potrebbe, nutrito di questa nuova esperienza osmotica, aumentare la consapevolezza della complessità del mondo, della vastità enciclopedica del sapere, della ricchezza delle sfaccettature delle espressioni delle contaminazioni, dei riflessi, dei vuoti, degli antagonismi, discutere i limiti dei centri e confini geografici, delle periferie o presunte tali, cogliere le relazioni di potere, i modelli, le innovazioni.
Se come sappiamo i musei mostrano la capacità dell’uomo di memorizzare e studiare, esporre e apprendere; la vita del cittadino uscito dalla quarantena globale, che abbia fatto esperienza consapevole di musei a distanza, ne risulterebbe cambiata, più consapevole della sua cittadinanza universale, il suo essere un individuo intellettualmente attrezzato, capace di produrre un pensiero critico e affinare il proprio senso estetico, di scovare e interpretare punti di vista.
Con le studentesse e gli studenti dell’Università IULM di Milano, in questi due mesi abbiamo iniziato a monitorare criticamente i musei on-line, nei dislivelli di offerta e superamento dei confini delle loro porte chiuse.
Nella fase 2, difficile per modalità e dinamiche, si getteranno forse le basi di una nuova museologia post-Covid19: più interrelata, di maggiore condivisione culturale, quindi auspicabilmente meno elitaria, non fatta di pochi visitatori fisici ridotti dalle necessità di sicurezza di contenimento antivirale, come qualcuno forse auspicherebbe. Puntiamo a futuri potenziali visitatori più slow, meno mordi e fuggi, più consapevoli e curiosi, disposti ad aprirsi ad una innovativa centralità del Museo.
http://www.siscaonline.it/joomla/2019/
*Professore associato di Museologia, storia della critica artistica e del restauro, Università IULM