L’Italia giocherà ancora un futuro nel mondo del mobile? E quali sono le caratteristiche che possono portare le aziende del settore a superare questo periodo difficile? Lo abbiamo chiesto a Daniele Lago, classe 1972, chief executive officer & head of design di Lago S.p.A., azienda leader del design made in Italy. I suoi mobili, progettati e realizzati a Villa del Conte, in provincia di Padova, sono noti per il loro design modulare che li rende adatti non solo a tutte le aree della casa, ma anche a luoghi destinati alla collettività, come hotel, ristoranti, negozi e spazi di lavoro.
Lago, secondo lei il settore quanto ha sofferto lo stop imposto dall’emergenza sanitaria?
Il lockdown sicuramente ha creato dei problemi rilevanti in tutti i mercati; per quanto riguarda la nostra azienda, abbiamo seminato tanto durante lo stop, puntando sul tema dell’engagement digitale, e alla riapertura dei negozi, il 18 maggio, abbiamo generato molto traffico, quindi possiamo dirci fiduciosi in una ripresa vigorosa e rapida. In generale, in questo periodo sono state fatte nuove riflessioni sul concetto di abitazione: molto probabilmente, infatti, questa pandemia farà fare nuovi investimenti alle persone per crearsi una sorta di “guscio” più confortevole. C’è già una tendenza in atto, lo abbiamo riscontrato: sempre più persone intendono acquistare una casa fuori città o avere qualche spazio esterno in più. Questo nuovo trend avrà delle ripercussioni sul mercato dell’arredamento. Quindi non credo che gli impatti saranno così negativi; ovviamente, questo ragionamento vale immaginando che il lockdown non si ripeterà.
In questo periodo quali riscontri avete avuto dalla clientela?
Durante il periodo di lockdown abbiamo registrato il +70% di visite del sito, abbiamo più che raddoppiato la raccolta di contatti e ora che abbiamo riaperto i negozi i riscontri sono stati molto positivi. Ovviamente, durante i mesi di chiusura abbiamo registrato una riduzione degli ordinativi, che ad aprile ha superato abbondantemente il 50%, ma a maggio sta andando meglio e a giugno speriamo di tornare a una situazione vicina alla normalità. Siamo abbastanza fiduciosi.
L’Italia giocherà ancora un ruolo nel futuro del mobile?
Sì, anche se questa pandemia ha messo in luce un ritardo mostruoso nella cultura digitale del sistema Italia: bisogna accelerare la digitalizzazione di tutti i business model, e il nostro settore non fa differenza. Noi abbiamo iniziato più di dieci anni fa a costruire una cultura digitale e siamo stati fortunati, col senno di poi, a voler accelerare su questo tema. È un gap che dev’essere colmato, non c’è alternativa: o lo cavalchi o farai tanta fatica a rimanere in piedi, in prospettiva. Secondo me la pandemia ha messo in luce la fine della cultura novecentesca, pre-digitale, e ha fatto entrare in scena prepotentemente tutte le potenzialità del digitale. Chi non riuscirà a sfruttarle non avrà futuro.
Secondo lei il mercato italiano sarà più in difficoltà rispetto al mercato estero?
No, non credo. È vero che il settore Italia è più in affanno di altri sistemi, anche perché questo periodo di chiusura si poteva gestire sicuramente in maniera più attenta, ma tutti i Paesi ora stanno subendo contraccolpi importanti, quindi possiamo dire di essere abbastanza omologati; c’è sicuramente qualche piccola differenza, ma non vedo una grande sofferenza nel nostro settore per questi motivi. Due mesi di lockdown implicano un azzeramento quasi totale degli ordinativi, ma ora sarà interessante capire la velocità di ripartenza. Se tra sei mesi l’economia in generale subirà dei contraccolpi, anche noi ne risentiremo, questo è ovvio, ma credo che il mobile abbia la fortuna di essere nel filone dei “beni rifugio” che da questa pandemia uscirà ancora più forte. Le abitazioni avranno nuove necessità in futuro e questa può essere una nuova opportunità per il settore.
Immagino che in questo periodo tante aziende legate alla Cina o comunque a fornitori o clienti esteri saranno state penalizzate…
Se si hanno più mercati il rischio può essere suddiviso su più platee. Detto ciò, le aziende più solide sono quelle che possono bilanciare gli ordini tra mercati esteri e nazionali. Questo lockdown ha fatto capire quanto siamo dipendenti da ecosistemi. Da questo punto di vista potrebbero essere fatte delle riflessioni, per esempio si potrebbe rivedere il concetto di supply chain in modo più sostenibile. Credo che comunque il made in Italy abbia la fortuna di produrre cose altamente innovative, originali, con una capacità di manifattura elevata e perciò difficilmente sostituibili da altre filiere. I leader internazionali ci aspettano.
Quindi, mi pare di capire che per lei il settore non è in crisi, nonostante il periodo?
No. Come in tutti i settori, se un’azienda ha dei fondamentali solidi resiste, se invece è un’azienda che è già in affanno, farà fatica a sopportare un’apnea di qualche mese. A livello nazionale si parla di un 10% di aziende che potrebbero non esserci più post coronavirus, e il nostro settore penso che non sia al riparo da questo 10%. Quindi non è vero che non ci saranno contraccolpi, ma chi ha seminato in passato in maniera adeguata potrà uscirne molto bene.