Busche è un piccolo paesino nel Bellunese da neppure tremila abitanti. E se torniamo indietro di poco più di mezzo secolo, quando non esisteva quel «Latte» che lo ha reso celebre in tutta Italia, era praticamente sconosciuto. L’idea di raggruppare i piccoli allevatori per lavorare il latte «a turno» presso un unico «casello» era al tempo un’utopia. Nel secondo dopoguerra, poi, molte di queste piccole realtà entrarono in crisi e furono destinate a chiudere. Erano le prime latterie cooperative, dove si producevano burro, formaggi freschi e a pasta cotta da stagionare.
Fino al 1954, quando 36 soci fondarono la «Latteria sociale cooperativa della vallata feltrina», divenuta poi Lattebusche. Un’azienda che oggi cresce grazie a 360 soci in sette diverse province, con 14 punti vendita diretta e 132 milioni di litri di latte lavorati annualmente grazie al lavoro di 312 dipendenti e all’impegno commerciale di 47 agenti. Il fatturato supera i 108 milioni di euro grazie a sei diversi punti di raccolta latte e stabilimenti di produzione. Il fiore all’occhiello è un formaggio dop, che viene prodotto solo da quest’azienda, il Piave, il primo nel 1974 ad ottenere un disciplinare specifico in Italia e oggi rappresentato persino da una Confraternita, guidata da Fabio Bona. Sono questi gli indici chiari di come, con la cooperazione e col latte, si possa fare business.
Ma Lattebusche è soprattutto un modello di sostenibilità ambientale e green. «La nostra anima è la società nella quale viviamo, per questo tutta la materia prima è a chilometri zero. Ciò è garanzia di qualità oltre che della riduzione delle emissioni di anidride carbonica», spiega il direttore generale Francesco Bortoli. «Per questo siamo stati la prima azienda ad iscriversi al gruppo ‘green’ all’interno del gruppo degli industriali e abbiamo ottenuto importanti riconoscimenti sul risparmio energetico e sull’utilizzo di risorse non rinnovabili. Creiamo ad esempio energia direttamente in azienda, con dei co-generatori. Ma siamo anche molto attenti alla riduzione del consumo di acqua e alla riduzione della quantità di fanghi derivanti dalla depurazione. Abbiamo certificazioni specifiche nei nostri stabilimenti di Chioggia, Sandrigo e San Pietro in Gù».
Ma il progetto più green di Lattebusche non riguarda solo i consumi energetici, quando piuttosto l’impegno a valorizzare le stalle in quota: dando lavoro agli allevatori eroici sui pendii si evita lo spopolamento montano. La strategia è stata quella di realizzare una sorta di distretto del biologico tra Sappada e Cortina che ha garantito ai produttori la possibilità di realizzare un protrasporto dotto a più alto valore e all’azienda di differenziare l’offerta. Di qui l’investimento nell’alta Val Comelico, precisamente a Padola, a 1.215 metri di altezza, nella cooperativa Genzianella. «I numeri sono piccoli, ma il progetto ha un alto valore simbolico», incalza Bortoli. «Sosteniamo l’agricoltura di montagna, incentiviamo il mantenimento dei pascoli e promuoviamo i prodotti locali con attenzione al biologico dando nuove opportunità di lavoro». Sempre in questo ambito, va evidenziato anche un progetto di bonifica che quattro anni fa ha messo in sicurezza l’alveo del torrente Ligont, a Cesiomaggiore. «Le mucche bevono l’acqua, difendere i nostri torrenti è importante», ripetono in azienda.
L’altro fronte green aziendale è il progetto «arretramento stock». Un paio di anni fa è stato avviato uno studio volto alla riduzione dell’uso di navette tra i magazzini di stoccaggio, al fine di mitigare l’impatto ambientale dovuto al merci. «Già dopo un anno, si è registrata una diminuzione del 40% delle movimentazioni, con relativa e proporzionale riduzione delle emissioni», spiegano dal reparto logistica. Senza dimenticare poi le scelte sul packaging. Lattebusche è celebre per le scritte promozionali a sfondo sociale sui propri cartoni di tetrapack. Attraverso studi specifici, adesso i contenitori sono realizzati con materie prime provenienti da fonti rinnovabili e si scelgono sempre grammature ridotte. E a proposito di impegno sociale, l’azienda fa un vanto delle sponsorizzazioni verso eventi e attività che fanno passare i temi del riciclo e della raccolta differenziata, in un progetto ad esempio sono state coinvolte 37 scuole e 2.593 bambini in 45 spettacoli differenti.
Il resto è il racconto dei premi ottenuti dall’azienda, che in bacheca ormai affianca i riconoscimenti legati al formaggio a quelli green sui metodi produttivi e sulla sostenibilità ambientale. Alcuni esempi? Il Compraverde imprese veneto, il Veneto awards, l’european business awards, il premio per l’economia sostenibile e l’oscar green sono altrettante medaglie.
Non male, per una cooperativa che era nata da alcuni allevatori che non sapevano come lavorare il latte delle loro mucche. «Il green fa parte del nostro dna e della nostra identità», conclude Bortoli. «Ma non è solo questione ambientale. Differenziare i prodotti e spiegare ai nostri clienti le nostre scelte biologiche ed innovative fa pure bene al business. Una volta c’era solo il latte, ora il mondo è cambiato. E noi siamo felici di migliorarlo… tutelando le nostre mucche».
*Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano), 7 ottobre 2019