Solo in un Paese dove la cultura antiliberale e anti impresa domina da sempre, e dove la nostalgia per i regimi statalisti viene mixata con la venerazione del debito pubblico, poteva essere costruita una delle più grandi operazioni di mistificazione culturale e politica come quella alla quale abbiamo assistito e a cui stiamo assistendo in questi giorni sulla questione della chiusura delle fabbriche.
Secondo questa dottrina, abbracciata e promossa da un composito fronte populista che vede in prima fila i governatori leghisti di Veneto e Lombardia assieme a sindacalisti e intellettuali di sinistra, la diffusione del CoronaVirus avverrebbe nelle fabbriche, dove la vita umana sarebbe sacrificata al Dio denaro per colpa di avidi imprenditori che pensano solo alle ragioni dell’economia piuttosto che alla salute. Una salute che, per questi teorici da strapazzo, “non ha prezzo”.
Non stiamo nemmeno qui a polemizzare su questa infelice battuta, visto che la sanità è uno dei servizi più costosi in assoluto e viene pagato non dai parassiti, ma attraverso le tasse pagate proprio da chi la ricchezza la produce. E non vogliamo nemmeno polemizzare sul fatto che le ingenti donazioni agli ospedali arrivano da imprese e imprenditori che quella tanto deprecata ricchezza l’hanno costruita con il duro lavoro e certo ricevuta in dono dallo Stato. La salute un prezzo ce l’ha eccome, e quando il nostro Paese sarà in fallimento per colpa dei populisti di destra e sinistra e gli ospedali, come in Grecia, non avranno nemmeno i farmaci indispensabili per curare le più banali malattie, forse si renderanno conto di quale è il prezzo effettivo della salute.
Ma, per tornare al tema principale, poniamo tre domande chiave. Dove si contrae il virus e per chi è davvero pericoloso? Poiché, tranne Gori e Zaia, anche i sassi hanno capito che non si può chiudere tutto, che cosa è indispensabile che continui a funzionare e cosa no? E l’indispensabilità da cosa è data?
Al primo quesito bisogna rispondere che tutti gli esperti e scienziati, stanno da settimane spiegando che i principali focolai dove il virus si contrae sono gli ospedali e le case di riposo per gli anziani, due luoghi che non sono propriamente fabbriche. Gli esperti raccomandano anche di evitare assembramenti per contenere la diffusione. Poiché il contatto, anche a distanza, non è evitabile è chiaro che alcuni assembramenti vanno evitati e si deve limitare al minimo gli altri. Ad esempio andrebbero evitate le folle ai supermercati, salvo che Zaia e Fontana, con il plauso dei sindacati, hanno ridotto gli orari di accesso a questi luoghi facendo sì che i clienti si concentrino nelle poche ore nelle quali rimangono aperti. E, in nome della salute di quei lavoratori, si creano così le condizioni per metterli ancor di più a rischio. Cari populisti siete felici di questo vostro bellissimo risultato?
Sul secondo punto è chiaro che a rischio sono purtroppo le persone anziane e già malate. Essendo questa la realtà, più che spargere il panico tra i lavoratori, non sarebbe meglio mettere in sicurezza case di riposo ed ospedali e, sui lavoratori, attivare procedure selettive per far rimanere a casa gli over 60 e quei lavoratori che hanno in corso altre patologie? Fatto questo si potrebbe fare anche la cortesia di informare gli altri lavoratori che rischiano meno andando al lavoro che quando vanno la domenica a passeggiare in montagna? Se il rischio è limitatissimo, non è meglio lavorare sui sistemi di sicurezza piuttosto che spargere inutilmente il panico?
Veniamo al terzo punto, ovvero che cosa è davvero indispensabile tenere aperto e perché le fabbriche rientrano in questa categoria. Domani, dopodomani, tra una settimana, un mese o fossero anche sei mesi, questa crisi finirà. Cosa mangeremo? Chi ci darà un lavoro, un reddito, uno stipendio? Chi pagherà le tasse per permettere allo Stato di erogare formazione, sanità, pensioni? E’ una domanda semplice a cui i campioni della retorica populista rispondono che i soldi ce li deve dare l’Europa. Ma qualcuno davvero pensa che un cittadino tedesco, olandese, francese, belga, austriaco, sloveno, che va ogni giorno a lavorare, sia davvero disposto a dar soldi a noi che già ne abbiamo sperperati tanto in passato per quota 100 e per il reddito di cittadinanza? E perché darceli se abbiamo scelto noi di nostra spontanea volontà chiudere le fabbriche? E allora, se i soldi per vivere dovremo procurarceli noi dove li troveremo se avremo fatto fallire le nostre aziende?
Ma la cosa ancora più grave è che nemmeno l’evidenza empirica sembra convincere questi populisti che le fabbriche non sono responsabili della diffusione del virus. Che le cose stiano così lo confermano i dati dei decessi nella regione più colpita, quella Lombardia dove, dal giorno prima che le fabbriche venissero chiuse per decreto,cioè da sabato scorso, il numero delle vittime ha iniziato a diminuire in maniera significativa. Certo, oggi, pur essendo largamente inferiore a quello di sabato scorso, è leggermente aumentato rispetto a ieri. Ma anche il dato di oggi dimostra che le variazioni sono totalmente indipendenti dalla chiusura o meno degli stabilimenti. Basta guardare a quei numeri, insomma, per trarre la semplice conclusione che non sono le fabbriche ad uccidere.
Quello che uccide le coscienze e qualche volta anche le vite, purtroppo, è il populismo, che invece di affrontare i problemi con razionalità crea paura e panico. Che costringe il Governo ad assumere provvedimenti in perenne stato di emergenza determinando situazioni, come la fuga da Milano, che sta mettendo in pericolo il Sud; sta facendo chiudere fabbriche che andranno in fallimento, provocando come conseguenza fame, miseria e suicidi. Quanto tempo passerà prima che gli italiani si accorgano dell’inganno costruito ad arte da questi signori?
Si, parliamo di inganno costruito ad arte, perché il loro obiettivo non è combattere il virus, ma, semplicemente, guadagnare voti o e/o tornare al passato. Il loro obiettivo dichiarato, basta leggere Landini oggi su Repubblica, è tornare allo statalismo e chiudere per sempre l’economia di mercato. E forse non solo quella. Se si chiede che tutto venga risolto con l’intervento pubblico, se si chiede che le imprese private chiudano e contemporaneamente si invocano modelli autoritari come quello cinese, quale potrà essere la logica conclusione se non finire, se va bene in mano all’Iri e dei partiti e se va male tra le braccia di Mosca o di Pechino?
Le fabbriche non uccidono, mentre il populismo, oltre rovinare le coscienze attraverso il panico e la paura, rischia di uccidere – come ha scritto Ilvo Diamanti nei giorni scorsi – anche la democrazia.