Dopo aver letto i dati Istat sull’export dei primi tre mesi dell’anno, sarebbe facile concludere che a perdere la sfida dell’export saranno tutti. Nessuno dei grandi territori industriali del Paese riuscirà infatti a eguagliare i risultati record raggiunti nel 2019. E la prossima rilevazione, considerato che la flessione misurata nel primo trimestre è la media di due mesi “buoni” (gennaio e febbraio) e uno “pessimo” (marzo), registrerà crolli molto ma molto più consistenti di quelli appena comunicati.
Ma i dati pubblicati dall’Istat, per cui l’Emila cala del 2,4%, la Lombardia del 3% e il Veneto del 3,2%, sembrano confermare, e perfino amplificare, le linee di tendenza emerse negli anni scorsi che sono state oggetto di una mia recente pubblicazione dedicata sulle “nuove geografie del Pil. E cioè che se, prima della crisi, erano Emilia e Toscana a correre di più, e Lombardia e Veneto a correre di meno, ora, nel dopo Covid, avviene esattamente l’inverso: Veneto e Lombardia registrano i maggiori cali, mentre l’Emilia subisce un rallentamento più contenuto e la Toscana cresce, anche se di un misero 0,1%.
La forbice tra le regioni del nuovo triangolo industriale sembra dunque allargarsi tra Veneto ed Emilia, ed accorciarsi tra quest’ultima e Lombardia, facendo quindi emergere l’Emilia Romagna come territorio relativamente più forte, e probabilmente, maggiormente resiliente, anche nel frangente di questa drammatica crisi. Perché?
È da tempo che sosteniamo che l’industria emiliano romagnola ha accumulato una serie di punti di vantaggio su quella veneta (e forse anche su quella lombarda). La struttura delle imprese di quella regione è mediamente più solida, più managerializzata, più vocata alla crescita anche per linee esterne. Le rilevazioni sulle imprese Champion dimostrano che, se il Veneto è molto forte nella fascia di imprese vincenti tra i 20 e i 120 milioni di fatturato, sulla fascia tra i 120 e i 500 milioni, è l’Emilia ad avere il maggior numero di imprese. (Imprese Campions 120 – 500 mln di fatturato: Lombardia 78, Emilia R. 45, Veneto 21)
Certo, nei dati dell’export di questo primo trimestre pesa molto, se non soprattutto, la presenza in settori specifici. Franco Mosconi, che da anni studia in maniera approfondita il sistema industriale emiliano romagnolo, aveva già spiegato efficacemente come l’industria di quella regione sia collocata su segmenti, come il packaging, l’agroalimentare e il biomedicale, che usciranno inevitabilmente meglio da questa crisi. E anche il fronte automotive, essendo l’industria di quella regione più concentrata sulla fascia alta e tecnologicamente avanzata del mercato, reggerà relativamente meglio all’impatto che la sta travolgendo.
A conferma che la collocazione nei settori meno colpiti dalla crisi è cruciale, vi è il dato di due provincie simbolo come Bologna e Parma, la prima che vede una forte presenza del packaging e la seconda di agroalimentare e farmaceutica. Il fatto che Bologna cresca dell’1,1% e Pama addirittura del 9,2% contribuisce in maniera significativa a determinare la minore flessione dell’Emilia Romagna.
Ma la presenza nei settori non sembra spiegare tutto. Anche in Veneto per fare un paragone, agroalimentare e vitivinicolo hanno un peso importante nella provincia di Verona, che però perde il 5,3%, così come, il dato negativo di Modena (-4,4%) che vede un mix di settori che include meccanica e agroalimentare è comunque più basso del – 5,1% della provincia di Treviso che ha una forte presenza del settore vitivinicolo.
Analizzando poi i dati di singole provincie sembrano emergere segnali che indicano una maggior tenuta di un modello rispetto ad un altro. Così, in Veneto, ad esempio, mentre Padova e Treviso arretrano pesantemente nel primo trimestre, Vicenza contiene moltissimo le perdite. Un dato che conferma quanto già emergeva nella ricerca sulle imprese Champion che vede Vicenza come la provincia che, nel rapporto imprese/abitanti, risulta essere in testa nella classifica, mentre Padova e Treviso segnano un progressivo declino. Certo, come nel caso emiliano conta la collocazione nei settori (Treviso è molto presente nel tessile e nelle calzature che sono due dei settori maggiormente colpiti) mentre Vicenza è più forte nella meccanica, e sarà da vedere nel prossimo trimestre quale sarà l’impatto della crisi dell’automotive o, altro esempio negativo, quello di un settore come la concia che vede fatturati in calo del 60%.
Se la tendenza indicata da questi dati, che vanno accolti con estrema prudenza perché appunto parziali e legati nei fatti solo al mese di marzo, si confermerà anche nel prossimo trimestre, prenderemo atto di due fattori chiave che determineranno le nuove geografie del Pil. Il primo riguarda la maggior o minore presenza in settori industriali tra i meno colpiti dalla crisi; il secondo fattor riguarda la struttura delle imprese che, più sono dimensionalmente forti, managerializzate, posizionate su nicchie tecnologiche avanzate, più sembrano dimostrarsi resilienti anche sul fronte dell’expo. E poiché per quanto riguarda il primo fattore la ripresa prima o poi arriverà, sul secondo incide un elemento di cultura industriale. E su questo, da un po’ di anni, gli emiliani sembrano essere i più forti di una parte dei cugini veneti e lombardi.