Nell’ottobre scorso decisi di dedicarmi alla scrittura di un volume dedicato alle nuove geografie del Pil, a come cioè stava cambiando il tessuto produttivo italiano, in quali aree si stavano concentrando le imprese più dinamiche e le conseguenze che questi mutamenti comportavano sia nella “geografia politica” che nella rappresentanza. Un tema di attualità fino a circa 60 giorni fa. Poi il CoronaVirus ha sconvolto non solo le nostre vite ma il nostro tessuto economico e imprenditoriale.
Le tesi di fondo che reggevano l’impianto della ricerca erano che eravamo in una fase di sviluppo di nuove tipologie d’impresa, che queste fossero maggiormente concentrate e sviluppate lungo l’asse che corre sulla via Emilia e che l’emergere di questa tipologia di imprese stesse ponendo un problema di rappresentanza politica e una esigenza di profondo rinnovamento della rappresentanza dell’associazione di categoria, cioè di Confindustria.
Il libro purtroppo è andato in stampa proprio all’inizio di questa crisi e, in quel momento, con l’editore, decidemmo che fosse sufficiente una postilla che accennasse all’inizio di una crisi sicuramente importante, ma che in quel momento nessuno immaginava potesse essere di queste proporzioni.
Per molti aspetti, dunque, questo mio libro potrebbe essere cestinato o, al massimo, tenuto buono come testimonianza dell’epoca precedente alla Prima Grande Guerra Virale. Un po’, senza assolutamente voler fare paragoni con un’opera letteraria, quella straordinaria, come 1913 di Florian Illies.
Tuttavia, pur non avendo la qualità letteraria e nemmeno lo spessore storico – culturale di quel libro, ci sono almeno tre ragioni per cui “Le nuove geografie del Pil” forse vale la pena di leggerlo.
Il primo motivo è che le imprese e i territori che sono lì raccontati – sempre che non si avveri l’incubo di una irizzazione dell’economia – saranno certamente i più probabili protagonisti della rinascita del Paese. Quelle imprese, essendo le meglio capitalizzate e patrimonializzate, spesso le più innovative e capaci di rispondere con grande flessibilità ai bisogni del mercato, saranno quelle che più resisteranno e saranno in grado di cavalcare l’onda della ripresa non appena si manifesterà; i territori perché, come ha fatto notare Franco Mosconi – che di questo libro ha scritto un ampio e illuminante saggio introduttivo – sul Corriere di Bologna alcuni giorni fa, l’Emilia non solo ha la fortuna di avere concentrato sul suo territorio settori che da questa crisi usciranno più forti, come il biomedicale è il packaging, ma anche perché lì, in questi anni, si è puntato più che altrove sulle fasce di produzione a maggior valore aggiunto.
Il secondo motivo di interesse che questo volume riesce ancora ad esprimere riguarda l’analisi relativa al rapporto tra il mondo dell’impresa e la politica. Anzi, proprio l’evidenza dei fatti di questi giorni, che ha visto e sta vedendo l’ampio fronte populista di destra (Lega e Fratelli d’Italia) unirsi a quello populista di sinistra (Cinquestelle e Pd) e a settori sindacali e della sinistra radical chic in un antindustrialismo che ha portato, unico paese al mondo, alla chiusura per decreto delle fabbriche, dimostra che quanto sostenuto nel libro, sia ancora più necessario. Pare cioè evidente la necessità di rafforzare il “Partito del Pil”, di riuscire cioè a ricostruire un agglomerato di interessi capace di una proposta culturale e politica capace di dare al Paese politiche di sviluppo. In un Paese, cioè, dove, già debole in passato, la cultura liberale e di mercato viene sempre più messa in discussione, dove le uniche politiche concepite sono quelle assistenziali basate sul debito pubblico, si rende ancor più necessario dare forma politica e culturale all’esigenza che la fase di ricostruzione del Paese veda protagoniste le esigenze del mondo del lavoro e della produzione.
Il terzo motivo, altrettanto di attualità, anzi, di strettissima attualità visto e considerato che giovedì si voterà per il rinnovo dei vertici di Confindustria, è il nodo del profondo rinnovamento necessario nella rappresentanza degli imprenditori. La gestione filogovernativa e arrendevole nei confronti dell’offensiva scatenata dai teorici della nuova Iri, di una nuova stagione di un sindacato ideologico che si fa forza sulla possibilità di imporre i suoi veti, l’incapacità di elaborare linee che rispondano alle esigenze delle imprese, rendono ancor più attuale la riflessione svolta nel volume su questi temi.
Pare evidente, insomma, che se è vero che il vecchio mondo uscirà profondamente trasformato da questa impressionante crisi, alcune delle linee di tendenza in atto prima di questo radicale cambiamento, potrebbero essere utili a orientarci nella nuova fase. E comprendere come le aziende e i territori più dinamici del Paese stavano orientandosi, potrebbe aiutare quel poco che rimane della classe dirigente del Paese, ad assumere decisioni che garantiscano modelli inclusivi per il futuro che facciano tesoro delle lezioni della precedente Grande Crisi.
Per chi fosse interessato il libro è in vendita sia cartaceo che in formato e-pub sul sito https://www.egeaonline.it/ita/prodotti/strategia/nuove-geografie-del-pil-le.aspx