Le prime 20 imprese per fatturato in Italia, che assieme superano oltre i mille miliardi, sono tutte a capitale estero o a controllo pubblico. Per trovare le prime imprese private e italiane bisogna scendere sotto i 10 miliardi. Lo stesso calcolo, in Germania, porta ad una selezione di 20 imprese di cui non più di tre sono estere o pubbliche. Sono queste le doverose premesse da fare quando si parla di imprese “Top” nel nostro paese: da un lato perché ci offrono il contesto nel quale si muovono, dall’altro perché aiutano a comprendere quanto valore abbiano nel panorama complessivo imprese di dimensioni elevate, gestite con approccio manageriale improntato alla crescita, dalle spalle solide finanziariamente e con una capacità aggregativa. Sono proprio queste 100 imprese “Top” a rappresentare il traino dell’economia italiana e il suo futuro possibile: selezionate da una ricerca di Caterina Della Torre per L’Economia del Corriere e ItalyPost sulla base dei bilanci degli ultimi sei anni, campionesse di performance, comprendono nomi a volte arci-noti come Marcegaglia, Piaggio, Brembo, Angelini, Prada, Moncler… Ma anche alcuni non noti che emergono, a sorpresa, dopo aver lavorato per anni pur con poca comunicazione all’esterno fino a diventare campioni del Made in Italy.
“La dimensione è un fattore critico, crescere una necessità impellente”, esordisce Matteo Storchi, il presidente della reggiana Comer Industries, passata dai 300 milioni circa del 2016 agli oltre 1,2 miliardi del 2023 all’evento di presentazione nella sede parmense di Davines. “Il tempo è un altro elemento a cui badare, non si può aspettare 30 anni prima di raggiungere una certa massa critica: per noi questo ha significato procedere non solo in maniera organica ma per acquisizioni, come quella del nostro principale competitor in Germania pochi anni fa. E ha funzionato come acceleratore anche la Borsa, dove però auspicherei che ci fosse un’unico listino europeo, perché Milano è una piazza troppo piccola”. E anche di fronte a periodi complessi (Comer nei primi sei mesi lascia sul terreno oltre il 20% di ricavi), lo sguardo dev’essere rivolto al futuro: “Nelle crisi bisogna pensare alle opportunità. Il mondo va verso i 10 miliardi di persone, l’agricoltura sarà indispensabile, e per noi è il primo mercato. Ci sarà nuovo spazio per crescere”.
Per Marco Novicelli, ceo di Epta, azienda della refrigerazione commerciale da 1,4 miliardi, “acquisire è fondamentale, ma bisogna farlo con due approcci in contemporanea: quello dello studioso di bilanci analitico e puntiglioso, e quello del sognatore dall’altro lato. E poi conta moltissimo eseguire bene l’integrazione. Noi ad esempio abbiamo formato un manager, prima facendolo partire da realtà piccole, poi gli abbiamo affiancato un’esperta del tema e l’abbiamo fatto lavorare con una squadra per un anno, prima di realizzare davvero l’acquisizione e affidargliele”. Novicelli racconta il caso ‘limite’ di una joint venture con un’azienda familiare tedesca di cui ha preso la guida: “È strano che succeda, ma noi l’abbiamo preparata a lungo, abbiamo dimostrato con i nostri risultati la nostra solidità. Un’altra volta, negli Stati Uniti, ho passato 10 anni ad osservare una multinazionale che sapevo non avrebbe funzionato, finchè ad un certo punto, nel momento giusto, non ci siamo presentati per offrire una soluzione ad un loro problema. Questo è un atteggiamento vincente”.
Fra le imprese che dicevamo essere meno note c’è ad esempio la Bitron, da 1,5 miliardi nel 2023, che negli anni è entrata in molte delle nostre case grazie ai componenti elettrici ed elettronici negli elettrodomestici, ma che è anche nelle auto, “e su tutte le tecnologie – spiega l’ad Alberto Moro –: siamo sia nel tradizionale che nell’elettrico o idrogeno, cerchiamo insomma di essere flessibili e pronti alla transizione. Sul fronte del portafoglio prodotti cerchiamo di avere più varietà possibile e abbiamo peraltro abbracciato la logica del local for local aumentando molto anche i nostri siti produttivi e mercati. Insomma, la parola chiave è diversificazione“.
Anche nel chimico-farmaceutico si può crescere per acquisizioni, come dimostra l’esempio di Fidia Farmaceutici, raccontato dal presidente Carlo Pizzocaro: “Nel budget del 2025 prevediamo ricavi per 600 milioni (nel 2023 erano 463,5 milioni, Ndr), e grazie ad un’operazione in corso presto distribuiremo prodotti in Middle East e Africa, paesi in cui oggi non ci troviamo, ma che vedono la natalità aumentare moltissimo, e dove dunque si trovano futuri clienti. C’è un mercato enorme, bisogna iniziare ad investirci”.
Ma che prospettive hanno sulla chiusura del 2024 e sul 2025 questi “Campioni”, in grado di dare una prospettiva realistica grazie a dimensione, multilocalizzazione e varietà dei settori che rappresentano? “Il 2024 finirà bene sul fronte della redditività, il 2025 rischia di essere peggiore”, secondo Storchi di Comer. Mentre in campi come il siderurgico o l’elettrico “il ridimensionamento è partito nel 2023 e continua nell’anno in corso, mentre speriamo che il 2025 sia di ripresa e miglioramento”, testimoniano Marcegaglia e Moro. Più ottimista è Nocivelli, che parla di crescita continua, ovviamente anche spinta dalle acquisizioni che permettono di allargare il perimetro.