Reciproci pregiudizi
Il rapporto tra arte contemporanea e impresa è frequentemente viziato da due pregiudizi che riguardano entrambi gli attori in campo. E sono preconcetti che diventano spesso degli ineludibili limiti ideologici in grado di minare l’efficacia delle interazioni, rendendole frettolose e superficiali per entrambi, e sovente non produttive. Il primo, da parte del mondo dell’arte, riguarda il fatto che l’azienda è percepita esclusivamente come un fornitore di materiali o un mecenate disinteressato, come se i contenuti dell’azienda o quelli stessi dell’arte non avessero alcun tipo di relazione. Il secondo, da parte aziendale, è basato sul percepire l’arte come un plus che riguarda esclusivamente il marketing, le modalità comunicative e il benessere dei dipendenti, senza immaginare come invece essa possa interagire con i contenuti aziendali, la forme organizzative o le modalità con cui nelle imprese si perseguono i propri obbiettivi.
La necessità di contaminarsi
Entrambi i pregiudizi sono originati da una conoscenza non approfondita dei due attori in campo e da un approccio ai rispettivi ambiti operativi in una modalità eccessivamente settoriale. Tali limiti fanno dell’azienda e degli artisti due elementi giustapposti, ciascuno dotato di un proprio sistema di riferimento, di capacità ideative, tecniche o estetiche, ma che, quando sono assieme, agiscono per semplice affiancamento, poiché ciascuna parte persegue i propri obbiettivi. In questo modo sono del tutto anestetizzate le potenzialità di innesco che potrebbero nascere dall’interazione, dalla reale contaminazione tra i due agenti, ciascuno dei quali è in qualche modo prigioniero della propria settorialità, dell’iperspecializzazione che ci rende comprensibili solo a chi parla esattamente la nostra lingua (questa è forse anche l’eredità del nostro sistema formativo in cui vige una rigida suddivisione, non più accettabile, tra discipline tecniche e humanities).
Cambiamenti di scenario
Il progetto Extra Ordinario nasce proprio dalla necessità di contaminarsi, a partire, occorre ammetterlo, dall’impasse dovuta al Covid-19. Da un lato gli studenti del corso di pittura dell’Atelier F dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, tenacemente pungolati dal professor Carlo Di Raco, non dispongono più degli atelier poiché l’istituzione ha deciso di svolgere i corsi on-line, non consentendo ai giovani artisti di avere uno spazio di lavoro fisico (come può un giovane pittore lavorare senza un luogo in cui svolgere la propria ricerca, disponendo a malapena di un appartamento a Venezia condiviso con altri giovani studenti?). Dall’altra parte due grandi spazi nella disponibilità dell’agenzia creativa Vulcano nel complesso del Vega, a Marghera: uno è la sede dell’azienda, l’altro una recente acquisizione in attesa di una nuova destinazione d’uso. Ma all’improvviso gli spazi si svuotano, nessuno va in ufficio poiché il Covid-19 ha costretto i collaboratori a lavorare da casa. E questo fa scaturire una domanda: cosa fare in uno spazio vuoto nel momento in cui il lavoro appare così frazionato spazialmente e temporalmente?
La necessità di stare insieme
Extra Ordinario è così un progetto in cui si mescolano gli ingredienti, la fisicità degli spazi, il tempo degli artisti e quello dei collaboratori/clienti di Vulcano, che lavorano circondati dalle opere (nella sede in cui è ospitata la mostra dei diplomati che hanno appena terminato gli studi) o passeggiano sotto le volte di capannone industriale guardando con curiosità come esse nascono, cambiano, si evolvono (negli spazi del workshop). Ma nel contempo è un percorso in cui anche i giovani artisti, oltre a realizzare le opere, sono invitati a spiegare e rendere intellegibili i propri criteri operativi, motivare le proprie scelte espressive nelle letture di portfolio, negli incontri con gli art director o nelle visite di galleristi, curatori e collezionisti. Si rompe così un doppio isolamento, quello aziendale e quello dell’artista nel proprio studio. Mai come ora serve ridare vita, con la massima urgenza, a luoghi e situazioni in cui l’esperienza creativa possa svilupparsi, crescere, diffondersi. Con progetti a più mani, frutto di un pensiero e di un agire collettivo.