“Se arrivasse il 5% di inflazione, vorrebbe dire che sull’enorme stock di debito a lungo termine e tasso fisso di banche, assicurazioni, fondi pensione, le perdite sarebbero enormi. Ma l’inflazione, quando è partita, chi ti dice che si ferma al 5%? Siamo in un terreno del tutto inesplorato, non è mai successo che tu moltiplichi per x volte la massa monetaria e non succede niente. Non so quale sarà il risultato, ma stiamo giocando a un gioco pericoloso. Fino a che non parte l’inflazione, è come essere su un lago di benzina: finché nessuno accende un cerino non succede niente”. Sono queste le parole di Massimo Malvestio, l’avvocato trevigiano e ora gestore di una serie di fondi particolarmente performanti, pronunciate più di un anno fa, in una intervista pubblicata dalle nostre testate esattamente il 24 aprile del 2021.
E, purtroppo, quelle previsioni si sono avverate puntualmente, motivo per cui, dopo che le autorità monetarie e politiche avevano minimizzato i rischi (“L’inflazione è destinata a rientrare in pochi mesi” diceva il mainstream), e che oggi l’abbiamo di fronte a noi a ritmi che perfino a livello ufficiale si avvicinano alla doppia cifra, abbiamo voluto risentirlo per capire cosa vede per i prossimi mesi.
Avvocato Malvestio, la vulgata dice che l’inflazione è scoppiata a causa del conflitto russo – ucraino, e che quindi, se quello si risolvesse, sarebbe destinata a rientrare. È così?
L’ inflazione era già partita prima del conflitto. Il conflitto ha aggravato il problema. A mio avviso hanno cominciato a prevalere sulle forze deflattive sostanzialmente tre ordini di fattori: il primo è dato dalla abnorme crescita delle masse monetarie effetto delle politiche espansive delle banche centrali. Ma il secondo fattore, che viene spesso sottovalutato nell’analisi di questa fase inflattiva, riguarda le dinamiche demografiche che vedono i baby boomers avviarsi alla pensione senza che i nuovi entrati nel mondo del lavoro siano in numero sufficiente a sostituirli. Bastava leggere i giornali di ieri per vedere come Gardaland sia costretta a tenere chiuso per assenza di lavoratori. E questo non è un problema solo italiano. Si pensi alla Cina dove la one child policy sta cominciando a produrre tutti i suoi effetti anche sulle dinamiche delle domanda e offerta di lavoro. Quello che oggi mi chiedo è se la recessione in arrivo ridurrà anche la necessità di forza lavoro o se, a prescindere dalla recessione, il problema dell’invecchiamento della popolazione permarrà a prescindere.
E il terzo fattore?
Un terzo fattore dirompente sono le politiche ESG – o pretese tali – imposte dai fondi, dalle banche e dai regolatori alle società quotate prima, ma adesso quasi a tutte, che hanno allontanato gli investimenti in risorse energetiche e in materie prime dalle logiche di mercato. Si badi bene come anche al di fuori delle logiche di mercato che comunque si sono venute a mutare per effetto di un’azione normativa molto incisiva che si è avuta in tutte le nazioni più ricche. “L’ipocrisia di chi – come cantava Francesco Guccini – sta sempre con la ragione e mai col torto” ha messo l’Europa in mano a Putin e per rimediare, adesso, si devono accettare non solo politiche che di ESG non hanno nulla, ma anche legittimare interlocutori e regimi che sul piano dei valori rappresentano l’esatto contrario di quello che queste politiche ESG dicono di volere perseguire.
Un esempio di questi giorni: se in Egitto si va ad implorare che ci aumentino le forniture di gas, è difficile poi parlare del povero Regeni.
Un’altra obiezione al quadro preoccupato che lei delineava già un anno fa è quella tracciata ieri sul Sole 24 Ore dal Cfo di Jp Morgan, che ha detto testualmente che non crede che avremo una crisi economica in Europa, negli Stati Uniti o altrove e che assisteremo a una normale fase recessiva. Concorda?
Sinceramente non capisco questo giudizio, considerato che solo qualche giorno fa il CEO di J.P. Morgan, Jamie Dimon, ha detto testualmente agli analisti e imprenditori “Tenetevi forte. È un uragano”. Nei paesi baltici in area euro l’inflazione tendenziale è al 20%, in diversi paesi dell’area euro siamo sopra il 10%. La Banca Nazionale Svizzera, con l’inflazione di quel paese sotto il 3%, ha alzato i tassi di 50 bps. La BCE continua ad indugiare nonostante abbia finora dimostrato che le sue capacità di analisi e previsione lasciano molto spazio al miglioramento. Ovviamente tutti speriamo che il CFO di J.P. Morgan abbia ragione e diverse sono le variabili che posso influire sul risultato. Mi pare però che mantenere tassi reali negativi come accade ora in talune parti dell’area euro o tassi svizzeri superiori ai tassi europei siano dati così lontani dall’ortodossia economica da non poter non destare dei dubbi.
Dubita della capacità della Bce di gestire questa crisi?
Veniamo anche da almeno 11 anni di esplosione della regolamentazione e dell’ invasività dell’azione dei regolatori dei mercati finanziari: se vi sarà una crisi seria, per la prima volta nella storia ci troveremo di fronte ad una omogeneità mai vista prima nelle situazioni e nelle condotte di banche, assicurazioni e soggetti vigilati in genere. Eventuali errori – che mi permetto di pensare potrebbero essere stati commessi anche dai regolatori – non troverebbero compensazione all’interno del sistema. Gli effetti potrebbero essere molto meno gestibili. Come per l’ ESG, il pensiero unico va di moda in questi tempi ma le conseguenze degli errori saranno anch’esse uniche.
Carlo Cottarelli, intervistato da noi 15 giorni fa, ci diceva che per fortuna una parte sempre più rilevante del debito pubblico è in mano alla Bce ed è sterilizzato “come se non esistesse”. Per cui finchè la Bce rifinanzierà i titoli in scadenza grandi problemi non ce ne dovrebbero essere. Certo – ammetteva – se invece a livello europeo non venissero rifinanziati, il problema potrebbe ridiventare grave. E l’Europa sembra intenzionata a fermare lo spread. Con quali conseguenze?
Credo che la “sterilizzazione” del debito pubblico dei singoli stati – di fatto è già così – sia l’unica arma rimasta nell’arsenale della BCE per fermare lo spread e la frammentazione fintanto che l’inflazione rimane ai livelli attuali. Non vedo infatti come si potrebbe spiegare all’Estonia – per fare l’ esempio più eclatante – che bisognerà comperare altro debito pubblico italiano continuando una politica espansiva quando in Estonia l’inflazione è al 20%! L’Estonia poi non ha debito pubblico e non so cosa potrà dire un lavoratore estone, assai prima che la signora Kallas, primo ministro dell’Estonia, sul fatto che mentre lui soffre un’inflazione al 20% si continua a finanziare il Reddito di Cittadinanza o si è finanziata Quota 100 o altre iniziative così popolari in Italia. Pare che il pericolo di frammentazione esista solo nel caso in cui l’Italia non tenesse, ma per far tenere l’Italia non restano molte altre politiche che non generino un allontanamento, davvero forte, dei paesi più virtuosi.
Per fare un esempio concreto sul mondo delle assicurazioni, Il Sole di ieri notava che Unipol ha investiti 25,5 miliardi in Btp, richiamando il rischio di impatto sulla struttura finanziaria – patrimoniale della compagnia. Ha ragione il Sole o Unipol quando risponde a questa preoccupazione dicendo che l’incidenza dei titoli è in calo, e che il portafoglio investimenti è sufficientemente diversificato? E questo vale anche per le altre compagnie?
Non bisogna dimenticare che le compagnie di assicurazione, come le banche, dovrebbero per quanto possibile compensare attività a lungo a tasso fisso con passività lungo a tasso fisso. Ogni compagnia ha la sua storia ma la eterodirezione e l’invasività dei regolatori fa si che queste storie siano sempre più uniformi. Veniamo poi da un lungo periodo di tassi negativi per cui il rischio di duration e il rischio di credito sono stati sacrificati all’esigenza di poter raccontare che i flussi cedolari erano sufficienti a coprire le obbligazioni pregresse. Le centinaia di miliardi di mutuo a tasso fisso e scadenze pluridecennali erogati in questi anni sono finiti nei portafogli di qualcuno che ha già subito – oggi prima ancora che la BCE alzi i tassi – perdite macroscopiche. Se l’ inflazione perdurerà non vedo come la BCE potrà continuare – come ha fatto finora – ad acquistare bond per sostenere il mercato. A ciò si aggiunga che – grazie alla regolamentazione introdotta negli ultimi anni – la liquidità del mercato obbligazionario è estremamente ridotta per cui, in una vera crisi, i movimenti negativi sarebbero ulteriormente esasperati.
L’inflazione è però un problema globale. E se la Bce ha le sue responsabilità forse ci sono anche altri soggetti che non sembrano fare le scelte corrette…..
Il problema vero, secondo me, è che i centri decisionali sono sempre meno trasparenti. Ho detto che le società maggiori da anni cercano di adeguarsi alle politiche ESG su sollecitazione dei fondi. I gestori di questi fondi finiscono con il decidere anche quello che è ESG e quello che non lo è. A volte si tratta di decisioni molto opinabili ma, influenzando in modo decisivo la condotta di tutte le maggiori società del pianeta, hanno conseguenze decisive per l’umanità. Nessuno sa però chi siano le persone che prendono queste decisioni, né i processi decisionali hanno la benché minima trasparenza. Oggi sono gli ETF il mezzo attraverso cui viene detenuta la parte maggiore di azioni di società quotate. Chi gestisce gli ETF non viene tuttavia eletto, non dice a nessuno che cosa vorrà fare e non risponde a nessuno – se non ai regolatori che sono però a lui molto simili – di quel che fa. Gli ETF replicano pedissequamente un parametro, quindi per gestire un ETF serve un eccellente sistema informativo e una buona rete commerciale oltre alla sintonia con i regolatori. Caratteristiche che prescindono da ideologia, sistema di valori, visione del mondo, eppure a costoro è dato un potere enorme. Ovviamente la dimensione è l’altro fattore decisivo: non c’è spazio per i piccoli nel mercato degli ETF e quindi non vi è spazio per il pluralismo.Considerazioni molto simili possono essere fatte per i regolatori che gestiscono sistemi burocratici con quei tipici effetti invasivi che sono stati così ben descritti da Max Weber.
Domanda finale. L’uragano che secondo il Ceo di JP Morgan ci aspetta, sarà, per usare le sue parole, “minore o una tempesta Sandy”?
Questo non lo so. Tutti si aspettano che la fase recessiva faccia rientrare l’inflazione. Vedremo, ma il punto vero è a che livello si attesterà e per quanto tempo. Se tornerà all’uno o due per cento tutto potrà essere superato, ma se dovesse attestarsi attorno al 5% – come ho detto un anno fa nell’intervista che vi ho rilasciato – il lago di benzina sulle cui sponde ci siamo attestati, si incendierà comunque e si assisterà ad un grande redistribuzione di ricchezza.