La platea era quella giusta: 200 imprenditori accorsi al Teatro Comunale di Treviso per il Premio alle mille aziende “best performer” della Marca. Interlocutori del calibro di Paolo Polegato, nuovo ad di Astoria, Diego Bolzonello, ad di Scarpa, Antonella Candiotto, presidente di Galdi, e Roberto Rizzo, fondatore di SolidWorld. A dare risposte alle loro istanze era chiamato Roberto Marcato, potente assessore alle Attività produttive di una giunta Zaia che domina senza rivali questa regione da ormai un quindicennio. A incalzarlo, tessendo il filo delle riflessioni degli imprenditori, è stato Stefano Micelli. Professore a Ca’ Foscari, Micelli è uno dei pochi acuti osservatori rimasti delle trasformazioni di un Veneto che appare in bilico tra sviluppo (di nuovo impetuoso) e declino (ancora plausibile soprattutto per demografia e mancanza di attrattività).
Marcato avrebbe potuto limitarsi a una difesa d’ufficio del “buon governo veneto”. Certo, non si può dire che non lo abbia fatto: rivendicando, ad esempio, che per Pil la sua regione è tornata in vetta alla classifica nazionale. E difendendo a spada tratta quel modello di piccola e microimpresa che, nonostante le cassandre, sta permettendo al Veneto di restare saldamente in scia a quell’Emilia che da un po’ lo ha sorpassato nei volumi di export.
Ma colui che viene considerato il braccio destro di Zaia, e suo possibile successore, nel corso della serata ha avuto la capacità di non limitarsi a sottolineare quelli che sono indubbiamente gli aspetti positivi. “Dobbiamo imparare a essere più attrattivi – ha anche evidenziato – magari cominciando a raccontare che qui abbiamo un modello che premia il merito, ma non lascia indietro nessuno”, sottolineando la differenza tra una certa cultura “meritocratica” anglosassone che esalta e gratifica sì i migliori, ma poi lascia poi tanti giovani a fare i lavapiatti.
“Dobbiamo imparare a raccontare il nostro tessuto industriale meglio e su questo va aperta una riflessione e vanno messe in campo iniziative” ha aggiunto Marcato.
Ma c’è stato anche un altro punto sul quale l’assessore ha voluto premere l’acceleratore, seppur con molta prudenza: si tratta del capitolo spinoso della retorica “piccolo è bello”, che ha accompagnato una certa retorica per tanti anni. “Certo, dobbiamo crescere e far crescere le nostre aziende – ha affermato -. Che sia da fare è fuori di dubbio, ma non imponendo modelli estranei alla nostra cultura, che andrebbero a schiantarsi e non porterebbero lontano, bensì prendendo il meglio di quella cultura del lavoro che fa parte di un insopprimibile Dna Veneto e facendola evolvere verso i nuovi orizzonti che la competizione globale richiede”, ha concluso.