Sono passati solo cinque anni da quando, morendo, Silvano Pontello lasciò la guida della Banca Antonveneta. Pontello aveva assunto la testa di quella che era allora la Banca Antoniana, una piccola banca vicina agli ambienti cattolici padovani che aveva una cinquantina di sportelli sparsi tra Padova e Trieste. Pontello aveva acquistato banche un po’ ovunque, molte al Sud. La fusione con la Popolare Veneta, quella che un tempo era stata la Banca Popolare di Padova Treviso e Rovigo, aveva dato all’Antonveneta una dimensione di prim’ordine nel Veneto. L’acquisto della Banca Nazionale dell’Agricoltura, pagata a caro prezzo, aveva portato, oltre a molte sofferenze, anche la rete di quella che per molti anni era stata la prima banca privata italiana, consolidando così per l’Antonveneta una dimensione distributiva davvero nazionale.
Con la scomparsa di Pontello venne meno il collante che teneva unita l’eterogenea compagine azionaria dell’Antonveneta che, nella trasformazione da cooperativa a società per azioni, non aveva voluto avere un socio di maggioranza, ma un azionariato fatto da tanti soci nessuno dei quali davvero determinante, anche se, già allora, l’Abn Amro emergeva come primo socio. Alla morte di Pontello seguì la corsa tra la Popolare di Lodi e la stessa Abn Amro per arrivare al controllo dell’Antonveneta. I soci si divisero tra amici di Fiorani e amici degli olandesi. I primi paladini dell’italianità che aveva in Fazio il suo potente profeta; i secondi paladini dell’internazionalizzazione. Nessuno dei soci disse che avrebbe venduto le proprie azioni a chi pagava di più, questo mai. Gli amici di Fiorani sono oggi, come è noto, carne per le Procure e non possiamo dire quindi che cosa avrebbe significato in concreto una grande banca controllata da Lodi nel nome dell’italianità. Se i metodi fossero stati quelli con cui Fiorani gestiva la Lodi è difficile pensare di dovere avere rimpianti.
Gli amici degli olandesi affermavano invece che l’Antonveneta, nelle mani di Abn Amro, sarebbe divenuta la testa di ponte dell’espansione italiana del gruppo olandese e Padova ne avrebbe tratto i conseguenti benefici; si sarebbe avuto nel mercato italiano – ma con sommo beneficio per il Veneto dove aveva il radicamento maggiore – un soggetto in grado di guidare gli imprenditori nel processo di internazionalizzazione; il mercato creditizio avrebbe subito una rivoluzione nelle condizioni nel momento in cui un campione internazionale avesse avuto una rete distributiva capillare per diffondere i suoi prodotti.
L’Abn Amro prevalse pagando l’Antonveneta un prezzo che lasciava ben pasciuti sia i difensori dell’italianità sia i promotori dell’internazionalizzazione. Pare difficile che questi ultimi, almeno finora, possano vantarsi di avere visto giusto: l’Antonveneta ha mantenuto a Padova soltanto la direzione retail e gli altri maggiori centri decisionali sono già a Milano. Milano è un centro finanziario, non Padova – che ha già perso anche la Cassa di Risparmio – e gli olandesi lo sanno. Gli amici di Fiorani affermavano che il giorno in cui gli olandesi avessero potuto integrare Capitalia – dove sono da anni soci importanti – e Antonveneta, Padova avrebbe perso ogni importanza: è successo prima e senza che gli olandesi abbiano potuto assumere il controllo di Capitalia.
L’Abn Amro è certamente una banca con una presenza globale, ma non pare che gli imprenditori veneti la stiano premiando molto, almeno stando a quel che dicono le quote di mercato. La redditività dell’Antoveneta non pare neanche quella avere ripagato, finora, gli sforzi degli olandesi e in questa situazione, come è ovvio, non si riesce a cogliere l’effetto destabilizzante che molti avevano associato all’arrivo sul mercato veneto di una grande banca straniera. Anzi, è Abn Amro a essere oggetto delle critiche dei suoi azionisti per le modeste performance che il titolo ha espresso in Borsa. Vendere Abn Amro – si è detto – potrebbe essere la soluzione per valorizzare il titolo. È di queste ore la notizia che Abn Amro è in trattativa con Barclays per una integrazione. Il prezzo delle azioni della banca olandese è schizzato in cielo mentre quello della banca inglese è rimasto invariato: inevitabile pensare che gli inglesi comperano e gli olandesi sono comperati. Gli amici di Fiorani e anche Fazio debbono essersi divertiti quando, di fronte alla prospettiva del passaggio del controllo di Abn Amro nelle mani di un gruppo straniero, è intervenuto immediatamente il Governatore della Banca d’Olanda, a difesa di un qualcosa che sembra possa essere chiamato «olandesità». Comunque vada a finire, l’Antonveneta sarà sempre più soltanto una provincia di un impero – poco importa quale – e certo non la più importante e Padova non sarà neppure la capitale della provincia.
Sono passati solo due anni dalla guerra per l’Antonveneta ed oggi non se ne parla più. I due partiti che avevano diviso gli imprenditori e i redditieri veneti, soci dell’Antonveneta, si sono sciolti. Se avevano obiettivi che andavano al di là dei soldi, né l’uno né altro ci ha visto dentro. In fin dei conti, che importa? L’Opa ha pagato l’Antonveneta a un prezzo che ha lasciato felici tutti. Il Veneto ci ha perso, ma tanti veneti ci hanno guadagnato: un po’ quello che dietro alle nobili parole e ai grandi obiettivi si cercava forse fin dall’inizio. Obiettivo raggiunto.