La crisi ha rivelato ulteriori motivi di inadeguatezza delle fondazioni quali grandi soci delle maggiori banche italiane, esponendole ai rischi legati alla dipendenza da un’unica fonte di finanziamento. E ora che nel 2008 non ci saranno dividendi da elargire non ci sarà neanche nessuna entrata di cassa
Dida.
AZIONISTA DI MAGGIORANZA. La Fondazione Cariverona detiene il 5% del capitale di Unicredit. Fondazione Cassamarca è a quota 0,8%.
di Massimo Malvestio
La crisi che ha investito le borse e ancor più i titoli bancari suggerisce qualche ulteriore riflessione sugli investimenti delle fondazioni venete che, come abbiamo già avuto più volte modo di sottolineare in questa rubrica, sono fortemente concentrati in Intesa San Paolo e Unicredit. Si era detto che la concentrazione degli investimenti consentiva una rappresentanza degli interessi territoriali del Veneto nelle due principali banche del Paese ma allo stesso tempo esponeva le fondazioni a tutti i rischi che derivano dal dovere dipendere in modo così importante da un’unica fonte di entrata. Si era detto che se si voleva il potere nelle banche – e questo non può che derivare da partecipazioni consistenti – non si poteva al tempo stesso assumere impegni a lungo termine posto che i dividendi delle banche sono per loro natura variabili e possono anche venir meno.
La crisi ha rivelato ulteriori motivi di inadeguatezza delle fondazioni quali grandi soci delle maggiori banche italiane. In presenza di un sommovimento di mercato che ha portato Unicredit a dover deliberare un aumento di capitale non solo per adeguare i ratios patrimoniali ma anche per rassicurare il mercato di fronte all’inesorabile deterioramento del corso del titolo, si è visto come le fondazioni si siano trovate nel momento del maggior bisogno di fronte a questa alternativa: partecipare all’aumento di capitale proprio quando la banca non garantiva più l’erogazione dei dividendi da cui dipende la prosperità delle fondazioni; non partecipare e danneggiare così non solo il valore della partecipazione (attraverso una vendita quanto meno intempestiva dei diritti di opzione) ma creando serie difficoltà, quanto meno reputazionali, alla banca. La prima soluzione aveva l’ulteriore controindicazione che la sottoscrizione dell’aumento di capitale avrebbe comportato un’inevitabile accresciuta concentrazione dell’investimento della fondazione in un unico titolo e ciò proprio nel momento in cui si attualizzava uno dei maggiori inconvenienti che derivano dalla concentrazione.
Si è anche visto come la distribuzione di dividendi sia una sorta di imperativo categorico per le banche partecipate dalle fondazioni: Unicredit, che non distribuirà denaro per l’esercizio 2008, ha dovuto annunciare che distribuirà un dividendo in azioni con l’effetto che: se le fondazioni alieneranno le azioni ricevute a tale titolo ridurranno la partecipazione percentuale al capitale di Unicredit e quindi è come se avessero venduto una parte della partecipazione originaria; se non venderanno le azioni ricevute a titolo di dividendo non avranno nessuna entrata di cassa. La realtà è semplicemente che Unicredit per il 2008 non distribuirà dividendo. Un’eventualità sempre possibile nella vita di un’impresa e che è davvero poca cosa in un anno in cui dalla sera alla mattina sono venuti meno colossi planetari quali Lehman o comunque grandi banche europee come Fortis o Hypo per non dire delle decine di banche nazionali salvate dai governi.
Infine: che cosa succederebbe se Santander utilizzasse soltanto i denari che ha ricevuto da Montepaschi in cambio dell’Antonveneta per acquistare una partecipazione in Unicredit? Arriverebbe (al prezzo del momento in cui scrivo) poco sotto il 27% del capitale con diritto di voto e avrebbe all’incirca il doppio di quel che hanno nel complesso tutte le fondazioni azioniste di Unicredit (per carità di patria nessuno si soffermi sul fatto che il Montepaschi con i soldi spesi per l’Antonveneta poteva oggi prendere il controllo di Unicredit)! Anche come custodi dell’Italianità le fondazioni danno quindi poche garanzie.
Qualche maggior riflessione sul proprio ruolo di azioniste delle grandi banche, se fatta per tempo, avrebbe dato alle fondazioni la possibilità di giungere assai più preparate agli eventi di questi giorni.