Il presidente delle Fondazione Cassa di Risparmio di Padova, Antonio Finotti, all’indomani dell’annuncio delle integrazione tra Banca Intesa ed San Paolo di Torino ha dichiarato che la fondazione padovana guarda all’operazione soprattutto in un’ottica di valorizzazione della partecipazione e, quindi, del patrimonio dell’ente. L’affermazione è ineccepibile ed anzi può essere indicata ad esempio. Le fondazioni debbono gestire il proprio patrimonio in modo da ritrarne la maggior redditività possibile che poi potranno reinvestire per il raggiungimento dei loro scopi istituzionali. Corollario di una così chiara conclusione è che le fondazioni bancarie non debbono essere condizionate nel perseguire il profitto dalla contemporanea ricerca di posizioni di potere all’interno delle società nelle quali investono il proprio patrimonio. Deve quindi ritenersi che i molti rappresentanti delle fondazioni all’interno degli organi amministrativi delle banche cui le fondazioni partecipano, siano in quegli incarichi giusto perché qualcuno ci doveva pur andare ma che le fondazioni siano sostanzialmente indifferenti allo conservazione di quelle posizioni di potere e, comunque, che di fronte all’alternativa tra posti e profitto non abbiano mai avuto e non avranno alcun dubbio nello scegliere il profitto.
Si sa che poi in concreto le cose non sono sempre andate così ovunque ma se questa è la linea che la fondazione di Padova intende coltivare non v’è che da approvare con convinzione. D’altra parte, al momento, la fondazione è apparentemente rappresentata in modo importante al vertice del San Paolo che ha come vice presidente Orazio Rossi che fu per molti anni il presidente della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. L’impressione – ma si tratta certo solo di un impressione – è che l’integrazione sia stata trattata da Salza e Bazoli e che Orazio Rossi abbia, finora, potuto dire ben poco. Sarebbe stato anche strano che l’impressione non fosse stata questa, posto che per tutti questi ultimi anni si è parimenti avuto l’impressione che la fondazione di Padova non sia mai stata in condizione di essere determinante nelle decisioni relative alle sorti del S. Paolo. Se perciò la fondazione di Padova non cercherà posti ma solo maggior valore per la propria partecipazione, rinuncerà probabilmente a qualche cosa che è più apparenza che sostanza e porterà a casa del denaro che sarà buono per il territorio in cui la fondazione opera. La borsa ha premiato l’operazione con sostanziosi rialzi dei corsi dei titoli dei due istituti coinvolti e di conseguenza può dirsi già in parte raggiunto il risultato che il presidente della fondazione padovana vuole raggiungere.
A questo punto, varrebbe la pena di chiedersi se non sia il caso di alleggerire un po’ la posizione che le fondazioni non solo di Padova ma anche di Venezia hanno nel nuovo gigante bancario. Ancorché non sia il potere quello che interessa, entrambe perderanno ancora di importanza all’interno della compagine azionaria e a quel punto non si vede la ragione per mantenere concentrata in un’unica partecipazione porzioni così evidentemente rilevanti del patrimonio degli enti. Parrebbe buona regola di gestione la diversificazione
del rischio e non v’è dubbio che vi siano molte altre buone banche sul mercato, in Italia e all’estero, di cui possono esser acquistate le azioni e, in molti casi, i fondamentali appaiono – almeno per ora – anche assai più convenienti di quelli espressi dal nuovo gigante nazionale. Da ultimo, non pare che possa condividersi quel coro di consensi all’operato delle fondazioni insostituibili custodi dell’italianità delle banche: se lo scopo è quello di massimizzare il valore delle partecipazioni, l’italianità c’entra poco. Certo, a volte la valorizzazione passa attraverso disegni di lungo periodo di cui le fondazioni possono essere garanti come investitori di lungo termine ma in quest’ultima veste lo scopo deve essere la creazione di valore e non la difesa dell’italianità. Dire inoltre, con il senno di poi, che se si fosse conservata l’indipendenza della Cariparo è difficile pensare che si sarebbe guadagnato di meno che conferendola al Gruppo San Paolo e si sarebbe conservato anche il potere su di una banca che sarebbe oggi quanto di più appetibile il mercato italiano potrebbe offrire, è questione oziosa anche se, nel momento in cui si impostano nuove impegnative strategie, riesaminare quelle passate a valutarne i frutti può essere utile ad evitare di ripeterne gli errori.