Una lunga consuetudine ci ha abituato a servizi, pubblici erogati in regime di monopolio. È stato così per acqua, luce, telefono, gas, smaltimento dei rifiuti urbani, autoservizi pubblici, aeroporti, in molte situazioni il monopolio pareva la naturale conseguenza del fatto che il gestore era un ente pubblico, il più delle volte un comune, direttamente o attraverso tina società controllata. Era del tutto ovvio che la gestione pubblica e monopolistica fosse strumentale alla tutela dei cittadini-utenti: l’impresa pubblica doveva conseguire, di regola, il pareggio di bilancio e non certo un profitto, infatti, lo scopo doveva essere quello di erogare il servizio ai cittadini alle migliori condizioni economiche possibili. Sotto la spinta della disciplina comunitaria, la situazione è andata rapidamente cambiando. Si è deciso che anche i servizi pubblici locali, al pari di qualsiasi altro settore economico, dovevano essere aperti alla concorrenza. Alle Authority e agli enti locali è stato affidato il ruolo di garanti e di regolatori della concorrenza. L’attività di impresa, da gestire in regime di concorrenza, dovrebbe uscire dalla sfera degli interessi degli enti locali.
È innegabile tuttavia che, nella quasi totalità dei casi, gli enti locali gestori dei servizi si siano avvalsi di tutte le opportunità che la legge offriva per poter protrarre nel tempo, seppure con qualche correttivo, la durata delle gestioni in corso e per ritardare l’avvio delle gare. In qualche caso le scelte sono parse obbligate a non voler disperdere patrimoni di professionalità che si erano accumulati nel tempo. Verona, Padova, Vicenza, Venezia hanno tutte dato vita alle società per azioni per raccogliere l’eredità delle precedenti gestioni condotte attraverso le aziende municipalizzate. Soltanto Treviso, tra i centri maggiori, è sfuggita a questa regola. Vi è stato un momento in cui la Borsa riconosceva valutazioni assai generose a questo genere di titoli e così comuni coinè Roma, Milano, Torino, Brescia e Trieste hanno potuto ritrarre ingenti risorse collocando questi titoli tra il pubblico. La valutazione di questi titoli non poteva non basarsi anche e soprattutto sull’apprezzamento della redditività prospettica che derivava a queste società dall’essere le dirette eredi dei monopoli pubblici che le avevano originate. Una redditività elevata ha consentito di ottenere un alto prezzo nei collocamenti e questa è stata la giustificazione per la quale i vecchi monopolisti sono stati legittimati a conseguire un profitto su servizi che, fino a quel momento, profitti non avrebbero dovuto darne.
La redditività di queste società appariva agli investitori facilmente prevedibile e si riteneva che la capillare rete di contatti di cui esse godevano sarebbe stata il viatico per mille nuovi affari: la realtà si è rivelata, poi. parzialmente diversa e l’andamento successivo dei corsi di borsa ha dimostrato che sono stati questi comuni a saper cogliere con tempismo le opportunità che quelle troppo ottimistiche visioni offrivano.
Nessuno dei comuni veneti ha collocato, a quel tempo, tra il pubblico le azioni delle proprie partecipate e oggi le valutazioni di borsa per questo tipo di titoli sono assai meno generose. Oggi i principali comuni del Veneto si trovano a gestire acqua, gas, luce attraverso le proprie partecipate che sono società dotate di patrimoni importanti, redditizie e, spesso, anche ben gestite. La redditività di queste società è, tuttavia, generata, per la gran parte, da quel patrimonio di cittadini utenti che sono l’eredità dei passati monopoli. È una situazione che con l’inevitabile apertura al mercato andrà inesorabilmente modificandosi con la conseguenza che le valutazioni di queste società, con il passare del tempo, paiono destinate ad incorporare gli effetti che la fine del monopolio comporterà sulla loro redditività. Nel Veneto non è però ancora delineato un disegno complessivo che valga a far comprendere quale potrà essere il futuro di queste società in un mercato liberalizzato. Certo, ogni comune dovrà decidere per sé ma non è detto che questo sia il modo migliore per valorizzare le partecipazioni in queste società che rappresentano per molti comuni una importantissima possibilità per reperire nuove risorse finanziarie.
Dall’altro lato, i cittadini-utenti vanno ponendo sempre più attenzione al costo dei servizi e il fatto di beneficiare una società controllata dal proprio comune di appartenenza potrebbe essere una motivazione non più sufficiente per accettare di pagare per lo stesso servizio un prezzo più alto che in altri comuni. Gli importanti aumenti del costo dell’acqua che stanno per essere applicati in molti comuni potrebbero dare l’avvio al dibattito su quanto sia legittimo un profitto che ha origine da un monopolio. È forse arrivato il momento in cui i comuni debbono prendere atto che sta per finire l’epoca della gestione diretta dei servizi e che si sta avviando un’era nuova in cui il comune può e deve essere soltanto ente di regolazione e di controllo del mercato nell’interesse esclusivo dei propri cittadini.