Giorgio Zanotto è stato sindaco di Verona per dieci anni e poi Presidente di quella provincia e quindi Presidente della Banca Popolare di Verona e consigliere della Società Cattolica di Assicurazioni. Molti nel Veneto sono gli amministratori pubblici che sono passati dal Comune, o dalla Provincia, alla guida delle casse di risparmio e, nei centri minori, delle banche di credito cooperativo. Molto pochi sono coloro che sono entrati nei consigli di amministrazione della banche popolari. Queste ultime erano in genere sorte per iniziative degli ambienti laici e liberali di molti dei maggiori centri della regione e non hanno mai perduto la loro atavica diffidenza verso quel ceto di amministratori cattolici che aveva occupato in massa i municipi al termine della guerra. La diversa ispirazione ideale era spesso accompagnata dalla convinzione che le banche dovessero restare estranee alla politica potendo da questa trarre soltanto indebite interferenze e distorsioni. A volte, la preoccupazione aveva un fondamento altre volte meno e costituiva un espediente per conservare la gestione delle banche popolari ad una classe dirigente autoreferenziale che si perpetuava di generazione in generazione. Giorgio Zanotto costituì quindi un’eccezione e di eccezione furono i risultati che egli ottenne alla guida della popolare veronese.
Rileggere la cronaca dei dieci anni che Giorgio Zanotto ha passato alla guida del Comune consente di cogliere i tratti che hanno caratterizzato la sua attività di amministratore pubblico e di comprendere come quelle stesse regole e quelle stesse idee potevano essere applicate ad un’impresa diversa con eguale successo. Il Pareggio del Bilancio: per Zanotto, che iniziò la sua attività di amministratore come assessore alle finanze della Giunta guidata Giovanni Uberti, era la stella polare dell’attività di gestione. Già a quel tempo altri comuni importanti avevano dovuto ricorrere a leggi speciali per risanare le loro disastrate finanze. Per Zanotto il pareggio del bilancio non era il frutto della preoccupazione del contabile ma esclusivamente il mezzo per garantire sempre e comunque la vera autonomia del Comune. Così come una banca ha nel profitto il mezzo per garantire il proprio futuro e la propria indipendenza così il Comune doveva avere nel pareggio il suggello alla propria capacità di fare da solo. Lo Sviluppo: per Zanotto l’aumento delle entrate del Comune non era mai aumento dei livelli impositivi ma piuttosto la crescita doveva essere il frutto dei buoni investimenti che il comune doveva compiere per dotare la città di infrastrutture.
Un accresciuto livello di attività e di benessere avrebbe portato naturalmente a nuove entrate e nuovo benessere. L’autostrada del Brennero, l’autostrada Brescia – Padova, l’aeroporto, l’AGSM e le attività di produzione elettrica, la metanizzazione, la Fiera, il Macello, i Magazzini Generali, il Quadrante Europa e la Zona Artigianale ed Industriale, l’Università, gli Ospedali, il tentativo di dar vita ad un’idrovia che collegasse il lago di Garda con l’Adriatico. Un elenco di iniziative che hanno fatto di Verona quel centro strategico che è oggi e che sono state davvero il motore dello sviluppo della città. Non si può non pensare a come la popolare sotto la guida di Zanotto sia poi cresciuta conquistando il Banco S.Geminiano e S.Prospero ed il Credito Bergamasco: due investimenti che si sarebbero, anche questi, ripagati da soli, e che avrebbero definitivamente trasformato la popolare scaligera da banca di provincia in protagonista di livello nazionale. Nel rileggere poi i nomi degli altri amministratori che hanno condiviso con Giorgio Zanotto la guida del Comune si scopre che tra questi, nella prima Giunta Zanotto, vi era quale assessore alle Finanze, Giulio Bisoffi che poi sarebbe divenuto direttore generale e quindi presidente della Società Cattolica di Assicurazione, l’altra grande impresa cooperativa veronese. Non può essere una coincidenza il fatto che al vertice della Popolare e della Cattolica siano giunti pressoché contemporaneamente due uomini che avevano assieme avuto un’appassionante esperienza di pubblici amministratori: si tratta della riprova che a Verona negli anni Cinquanta e Sessanta si è avuta una classe amministrativa dotata di grandi visioni e di ancora maggiori capacità realizzative.
Una classe dirigente di tale evidente affidabilità, che è potuta transitare naturalmente dalla gestione della cosa pubblica alla guida delle maggiori imprese private della provincia,
ha segnato l’affermazione di Verona: un risultato che si ottiene quando politica ed economia interagiscono e si integrano per opera di uomini capaci e degni di coltivare un progetto.