La violenza che si è scatenata nelle piazze italiane dopo il varo dell’ultimo dpcm è da condannare senza esitazione alcuna. Perché ogni forma di violenza va condannata a priori e perché, seguendo le orme di un grande maestro come fu Marco Pannella, le scelte ingiuste, perfino quelle dei regimi più sanguinari, per non creare ulteriori spirali di violenze, si combattono con la non violenza.
Premesso ciò, dobbiamo però anche dire che la rivolta che è scattata tra i ristoratori e i lavoratori del mondo della cultura è giusta e sacrosanta. E lo è perché questo governo, spinto dalla sua parte ideologicamente lockdownista e dai cultori dei sussidi di stato, ha scelto di non guardare in faccia i dati reali, ma di punire, a scopo dimostrativo e senza alcuna ratio, le categorie che nell’immaginario collettivo, e non nella realtà, produrrebbero più contatti sociali. Come fecero in passato con le fabbriche, dovendo poi fare un dietrofront mascherato attraverso la delega ai prefetti, non comprendendo che le fabbriche, così come oggi bar, ristoranti, cinema, teatri e palestre, con le misure di sicurezza adottate in questi mesi, sono luoghi assi più sicuri delle piazze o dei trasporti pubblici.
In Francia, con 50.000 contagi al giorno e un numero di vittime triplo rispetto a quello che si registra nel nostro Paese, le chiusure (tra le proteste dei sindaci) sono programmate tra le 21 e le 6 de mattino, e solo su una parte del territorio nazionale. Noi, con 20.000 contagi e un numero di vittime inferiori dell’80% rispetto al marzo scorso, ci troviamo con un governo (e con una Regione Lombardia che per prima l’aveva proposto) che decide di chiudere in tutta Italia bar, ristoranti e spettacoli, mandando in rovina centinaia di migliaia di giovani, di lavoratori e di famiglie.
Se queste cose le dicessimo solo noi, o lo dicessero solo le categorie economiche interessate, potremmo apparire o interessati a fini di parte o, peggio ancora, degli incoscienti sprezzanti del presunto pericolo che governo e media ci propinano ogni giorno. Ma queste posizioni sono anche quelle di governatori con la testa ben piantata sulle spalle, come Zaia e Bonaccini, di scienziati di primissimo livello che in questi giorni hanno invitato a evitare isterismi, di componenti del governo, come Italia Viva, purtroppo minoranza schiacciata tra gli ideologismi dei Cinquestelle e un Pd ridotto ad essere un fantasma che si aggira per i palazzi romani senza conoscere la ragione della sua esistenza in vita.
In questo momento possiamo solo confidare che il Premier Conte, che di per sé è persona saggia, sappia riconoscere l’errore e ascolti chi gli suggerisce una modifica del dpcm finalizzato a determinare le chiusure entro limiti accettabili. Uno statista lo si riconosce anche dal fatto che sa riconoscere per tempo gli errori e si rende conto che non si può fermare una rivolta di questo tipo mandando la polizia a sparare lacrimogeni sulla folla.
Nel frattempo, lo scriviamo senza esitazione, è giusto scendere in piazza, protestare con dignità e in forma non violenta. Bisogna far capire che gli inutili sacrifici già compiuti nel marzo e aprile scorso non possono essere ripetuti. Sacrifici che, oltre a non aver risolto un bel nulla sul contenimento della pandemia, visto e considerato che l’Italia ha lo stesso numero di vittime per milione di abitanti che hanno avuto gli Stati Uniti di Trump, hanno portato ad un drammatico calo del Pil di oltre dieci punti. E, se la prima volta in qualche modo ce l’abbiamo fatta a risollevarci, questa volta non sarà così.
E non è questione di ristori, perché, come ci ha detto ieri un ristoratore, “non fateci la carità ma permetteteci di lavorare”. I soldi che si vogliono stanziare per i ristori dovrebbero invece andare per assumere medici, infermieri, acquistare macchinari, gestire meglio il trasporto pubblico o l’afflusso delle persone per svolgere i test. Il principio guida di un governo giusto dovrebbe essere quello di salvare le vite umane. Non solo quelle messe in pericolo dal Covid. Perché di CoronaVirus si può, in qualche caso, morire, ma si muore ancora oggi molto di più di tumore e di mille altre malattie. E anche di disperazione.
Manifestare dunque è giusto, soprattutto quando si arriva, come si sta arrivando ora, al punto che tra il rischio di morire di Covid e la certezza di morire di fame, bisogna purtroppo scegliere. Anche perché il Covid non sparirà entro un mese, ce lo ritroveremo per almeno un altro anno. O impariamo a gestirlo e a conviverci, o, tra qualche mese, in piena crisi economica e con uno scontro sociale senza precedenti, il Covid diventerà l’ultimo dei nostri problemi.