Fanno impressione i dati relativi all’impatto di Covid 19 sulle micro e piccole imprese del Veneto e sul lavoro autonomo. Dall’esito di una prima verifica effettuata da alcune associazioni territoriali del sistema Confartigianato nell’area centrale e pedemontana veneta e dalle dichiarazioni di esponenti del mondo industriale e del turismo, emerge che una impresa su tre è a rischio chiusura. In questi momenti occorrono nervi saldi e provvedimenti di primo soccorso, come quelli varati qualche giorno fa a favore di imprese, lavoratori, lavoro autonomo e famiglie, completati due giorni fa con una estensione ai professionisti del pur risicato sostegno mensile agli autonomi e, oggi, in tema di supporto ai comuni, anche nel loro ruolo di ultima istanza per le figure più bisognevoli.
Sono provvedimenti sempre migliorabili e implementabili, con particolare attenzione al credito, cioè ai bisogni di liquidità, esigenza non più rinviabile e per la quale proprio in queste ore si legge di una azione condivisa tra Mef, Banca d’Italia, Abi e Mediocredito Centrale. Molto dipenderà dalla durata della pandemia, che ci auguriamo più breve possibile, ma ci stiamo convincendo che è importante non compromettere l’esito delle misure severe di contenimento fin qui adottate. Anche se la durata sarà comunque una tra le variabili determinanti, è presto, in quanto a idee per dare continuità e basi per una ripartenza dell’economia, andare oltre a constatazioni e felici intuizioni, sui settori, mercati e dimensioni che avranno più futuro.
Osservando il numero delle tante imprese che pensano di non farcela, ritengo d’obbligo considerare, tra le azioni per porvi rimedio, un piano straordinario per favorire aggregazioni, cioè fusioni, acquisizioni, reti di impresa pesanti. L’aggregazione si può realizzare per fusioni, anche facendo sorgere un nuovo soggetto d’impresa. Si può realizzare per acquisizioni a cura di aziende od autonomi, già in relazione economica tra di loro e che siano in grado di farlo o, infine, promuovendo reti pesanti, attraverso la condivisione di attività economiche rilevanti.
Anche nel passato, in “epoca di pace”, non sono mancati auspici e provvedimenti in proposito, sia a livello regionale che nazionale, ultimo tra i quali la legge sulle reti d’impresa. Ma non sono state sufficienti, almeno in questa Regione, a vincere l’indole individualista dell’imprenditore, nel bene e nel male, a seconda di come la vogliamo considerare. Ora siamo in situazione grave e straordinaria, inedita e imprevedibile, nella quale non dovremmo farci condizionare troppo da criteri di prudenza e da remore comprensibili fino a poco più di un mese fa.
Se un’azienda del settore costruzioni e della installazione di impianti, per fare un esempio, che abbia un po’ di fieno in cascina e un parco commesse non tutte destinate a dissolversi, per esempio a supporto delle attività produttive che operano nei settori essenziali e strategici, acquisisce o aggrega aziende più piccole e con meno margini di sopravvivenza, salva occupazione, professionalità e know how, e da un aiuto comunque importante. Magari operano in settori complementari, hanno motivazioni e prospettive diverse, anche diverse anzianità dei titolari, tutti valori aggiunti potenziali rispetto a semplici somme algebriche.
Se un’azienda committente, operante nella filiera della meccanica, del legno-arredo, dell’abbigliamento e dell’occhiale, anche per salvaguardare professionalità costruite a fatica, o per porre rimedio alle mancate forniture necessarie alla continuità produttiva fosse disponibile a collaborazioni più strutturate o ad acquisizioni, il risultato è dare maggiori probabilità di continuità ad un pezzo di economia con la relativa occupazione. Immagino osservazioni e dubbi, da un lato di committenti già incerti per il loro futuro e dall’altro di imprese e imprenditori poco disposti, fino all’ultimo, a sacrificare una vita, una storia, un pezzo di sé.
Ma tra perdere tutto, e non lo si augura a nessuno s’intenda, e favorire una continuità di lavoro e ruolo nel mercato, c’è comunque una differenza.
Siamo “in guerra“ e anche una coraggiosa scommessa di futuro e sul futuro può fare la differenza, una sorta di cuore oltre l’ostacolo, fatto che per diversi imprenditori, non in situazioni simili, è probabilmente già capitato. Non tutti i settori si prestano a simili prospettive ma la mia esperienza mi dice che possono essere maggiori di quanto il tradizionale raziocinio suggerisce, settore del turismo e dei servizi connessi compreso. Ovviamente i problemi non mancano e necessitano almeno tre condizioni.
a. Una finanza partecipativa o comunque adatta allo scopo.
b. Una conoscenza delle imprese che di solito si realizza con criteri più approfonditi, da un certo fatturato in su, ma il “di solito” non è oggi.
c. Terza condizione la disponibilità di professionisti, compresi gli specialisti, capi reparto o gestori d’impresa che sono presenti nelle associazioni e nei confidi, in grado di superare vincoli formali e ostacoli giuridici, come la tipologia giuridica, certificando l’esistenza del presupposto sostanziale.
Potrebbe essere incoraggiato un advisoring con professionisti accreditati ed un luogo nel quale scambiare informazioni tra domanda e offerta.
Sono, a mio parere, condizioni realizzabili attraverso uno sforzo straordinario tra gli attori che possono dare un contributo in proposito, associazioni, confidi, professionisti, banche , Regione , ente che ha il controllo di una società, Veneto Sviluppo, che ha a già a bordo alcuni attrezzi di lavoro, una discreta conoscenza di micro e piccole imprese condivisa con i confidi e le banche nella gestione degli incentivi regionali ed una crescente conoscenza della media impresa veneta , grazie all’attività più recente attraverso la sua SGR e l’operatività in fatto di bond.
*Francesco Giacomin – quarant’anni nella rappresentanza degli interessi