Pierre-Auguste Renoir fu una delle figure chiave dell’impressionismo? Certamente i suoi quadri dai colori tenui consegnarono alla storia colazioni e danze della vita parigina, attimi sospesi carichi di joie de vivre impressi come in una fotografia, tecnica che nel 1826 aveva inaugurato un nuovo modo di rappresentare la realtà con cui gli artisti si stavano confrontando.
Compendiare però l’evoluzione pittorica del maestro nato a Limoges nel 1841, riducendola ad un singolo momento, peraltro piuttosto breve – e caratterizzato da una certa disparità di vedute rispetto agli altri Monet, Pissarro e Degas – sarebbe limitante. Renoir, scosso da una profonda inquietudine creativa, decise infatti di partire verso l’Italia alla ricerca di vie alternative, un “viaggio della maturità” che innoverà fortemente il suo stile: “Il 1882 fu una grande data nella mia evoluzione. Il problema dell’Italia è che è troppo bella. Le strade italiane sono gremite di pagani e personaggi biblici. Ogni donna che allatta un bambino è una Madonna di Raffaello!”, scrive nel suo diario di viaggio.
A Venezia incontra i dipinti di Carpaccio e Tiepolo (Tiziano e Veronese li ha già studiati invece al Louvre), proseguendo per Padova e Firenze. Poi a Roma dove sviluppa un’ammirazione per i maestri rinascimentali – ma non per i “troppi muscoli” di Michelangelo -, e successivamente le pitture pompeiane e i capolavori del museo archeologico di Napoli, fino a Palermo, dove ritrae Richard Wagner. Un pellegrinaggio che è una rivoluzione creativa e da cui si inaugura una seconda fase della sua carriera, contraddistinta da uno stile aigre, aspro. Una seconda fase meno nota, che è proprio l’oggetto della mostra Renoir. L’alba di un nuovo classicismo, dal 25 febbraio al 25 giugno a Palazzo Roverella, a Rovigo: 47 capolavori provenienti da musei francesi, austriaci, svizzeri, italiani, tedeschi, danesi, olandesi e del Principato di Monaco (anche un capolavoro di proprietà personale del principe Alberto di Monaco, la “Baigneuse s’arrangeant les cheveux” del 1890 circa), che dal ritorno dal viaggio italiano fino alla sua vecchiaia raccontano una profonda evoluzione. Dalla monumentalità classicheggiante e ”neorinascimentale” delle figure ai paesaggi della Provenza e della Costa Azzurra, opere pacate e sontuose che presagiscono agli sviluppi successivi dell’arte, a quel “ritorno all’ordine” che si sarebbe via via diffuso solo più tardi.
Il percorso espositivo, curato da Paolo Bolpagni e promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi, prende l’avvio dal grande studio preparatorio olio su tela del Moulin de la Galette, appartenente alla stagione impressionista, per misurare passo dopo passo la deviazione sempre più netta del linguaggio del pittore francese. Accanto a lui i grandi maestri dell’arte che lo influenzarono in questa fase matura, da Vittore Carpaccio a Romanino, Peter Paul Rubens e Jean-Auguste-Dominique Ingres, ma anche suoi contemporanei come lo scultore Aristide Maillol e gli “italiens de Paris” Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis, Federico Zandomeneghi. E, ancora, artisti italiani di una o due generazioni successive che a sua volta vi si ispirarono e che quindi pongono in risalto l’originalità di una produzione che per certi versi anticipò la “moderna classicità” sviluppata a partire dagli anni Dieci del ‘900 in reazione alle avanguardie, da Armando Spadini a Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis, Carlo Carrà, Enrico Paulucci, Antonietta Raphaël Mafai ed Eros Pellini. Per un totale di ottantatré opere in un dialogo serrato a cercare assonanze e differenze. Nell’ultima sala, infine, verrà presentata una chicca anche per i cinefili, con alcuni spezzoni significativi del film del 1936, il raro “Una gita in campagna”, con cui il figlio dell’artista, Jean Renoir, uno dei più grandi registi della storia, omaggiò il padre ricreando, nelle eleganti inquadrature, le scene e le atmosfere dei suoi dipinti. Un’autentica celebrazione della bellezza e dell’equilibrio visivo e formale delle immagini, che, come scrisse François Truffaut, è un film di pure sensazioni, dove “ogni filo d’erba ci solletica il viso”.
Una retrospettiva dal taglio inedito che permette di vedere sotto una nuova luce contributi meno conosciuti di uno degli artisti più famosi di tutti i tempi e che sarà accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, contenente saggi di Paolo Bolpagni, Francesca Castellani, Giuseppe Di Natale, Francesco De Carolis, Michele Amedei e Francesco Parisi. Testimoniando quello che un Renoir ormai anziano e in sedia a rotelle disse all’amico Matisse, quando questi gli chiese perché nonostante l’artrite deformante e la paralisi alle gambe continuasse a dipingere: “La sofferenza passa, ma la bellezza resterà”.