Ho letto per la prima volta il termine “customer centricy” nel 2012.
Il libro di Peter Fader “Customer Centricity: Focus on the Right Customers for Strategic Advantage” formalizzava una tendenza che era per la verità già in corso ma che sarebbe stata amplificata enormemente dall’imminente rivoluzione comunicativa che i social network e il digitale in genere avrebbero generato.
Sono passati nove anni che, nella velocità frenetica del mondo digitale, rappresentano sostanzialmente un’era geologica, ma moltissime aziende e organizzazioni italiane ancora non hanno realmente compreso il significato di quello che è avvenuto e, cosa ben più grave, non hanno minimamente modificato il proprio modello di business adeguandolo in tal senso.
La sostanziale polarizzazione dei risultati delle aziende e delle piccole e medie imprese italiane dipende a mio parere in buona parte dalla comprensione, o non comprensione, della centralità strategica del cliente.
Ricordo che, leggendo per la prima volta il libro, mi aveva colpito il concetto di partenza: non tutti i clienti sono uguali.
Infatti, se si analizza la relazione di lungo termine tra l’azienda e i suoi clienti, spostando il focus sul valore prodotto dal cliente nel lungo periodo, emerge una sostanziale differenza, alcuni clienti hanno la capacità di produrre un volume di business e di profitto estremamente superiore agli altri e, più in generale, alla media.
Il “customer’s lifetime value”, il valore dell’intero ciclo di vita di un cliente, rappresenta appunto questo concetto e si pone l’obiettivo di misurare quanto valore ogni cliente sia in grado o meno di generare nei confronti dell’azienda nel lungo termine.
Successivamente ho iniziato a prestare attenzione a questo aspetto, dapprima su me come cliente e poi analizzando i modelli di business delle molte aziende B2B e B2C con le quali Delivera si relaziona.
Personalmente sono consapevole di essere un ottimo cliente per alcune aziende produttrici ad esempio di automobili, scarpe, attrezzatura sportiva o musicale con le quali tendo ad avere una “relazione” di lungo periodo e delle quali ho imparato a osservare e apprezzare gli sforzi che fanno al fine di continuare a trasferirmi valore.
Lo stesso identico approccio è però presente anche nel B2B dove le aziende manifatturiere sempre più ambiscono a costruire relazioni di partnership durature e consolidate con i propri clienti in quanto ne hanno capito l’importanza assoluta in termini di prevedibilità, stabilità e profittabilità.
Il modello si applica anche ai casi più estremi è apparentemente meno evidenti. Si pensi ad esempio ai mercati particolarmente “price sensitive” e competitivi dove le multinazionali, i clienti in questo caso specifico, utilizzano sistemi digitali basati su aste elettroniche per selezionare i propri fornitori. Tuttavia, nella quasi totalità dei casi, dietro questa apparente spersonalizzazione della relazione fornitore-cliente, si nasconde una successiva fase di negoziazione personale con i fornitori migliori in termini di qualità del prodotto o del servizio, che certamente usa i risultati dell’asta elettronica come leva di riduzione dei costi, ma altrettanto certamente riconosce l’importanza strategica delle partnership di lungo periodo e ambisce a costruirle e nutrirle attraverso un reciproco trasferimento di valore.
Non tutti i clienti sono uguali dunque. Ci sono clienti che, nel corso della loro relazione di lungo termine con un’azienda, sono in grado di produrre molto più valore di altri. Vale in quasi tutti i mercati e le industry.
La conseguenza diretta di questa constatazione sembrerebbe ovvia ma, per ragioni che non mi sono ancora del tutto chiare, non sembra esserlo per tutti.
In alcuni casi più estremi ho incontrato aziende che, seppur vivendo e apprezzando il rapporto di partnership e le attenzioni da parte dei loro fornitori, che evidentemente hanno fatto questi stessi ragionamenti, faticano enormemente ad accettare di dover prestare la stessa attenzione e trasferire lo stesso valore ai propri migliori clienti; evidentemente e conseguentemente non sono poi in grado di costruire relazioni altrettanto di successo con loro.
Tutto ciò premesso appare evidente che la strategia di sviluppo di ogni azienda in ogni mercato debba essere una strategia cliente centrica che, partendo dall’analisi e dalla comprensione di cosa rappresenti “valore” per i propri migliori clienti, quelli con il più alto customer’s lifetime value, ambisca a trasferirgliene in continuo e nella maggior misura possibile.
La cosa sorprendente è che in moltissimi casi non c’è relazione diretta tra “valore per il cliente” e “costo per l’azienda”. Ci sono, ad esempio, clienti B2C che apprezzano la comunicazione automatizzata che gli segnala le variazioni stagionali dei prezzi retail e, spesso, si tratta di automazioni realizzabili in modo massivo a costo molto basso.
Ci sono clienti B2B che apprezzano e richiedono interlocutori univoci e dedicati o l’utilizzo di particolari modalità di comunicazione o di condivisione di determinate informazioni. Anche in questi casi, spesso, il costo incrementale per mettere in essere queste scelte è relativamente basso se comparato con il valore e con il profitto di lungo periodo che un cliente ricorrente con il quale si costruisce una partnership può generare.
Partire dall’analisi del valore percepito dai propri migliori clienti è il primo passo per poter costruire una strategia realmente cliente centrica. I risultati possono essere stupefacenti.