“C’è una convergenza al centro tra professionalità manageriali e consulenziali: un bene per le PMI, con alcune attenzioni”
Fino a pochi anni fa era netta la distinzione tra manager e consulente.
Il primo, con impiego stabile, ruolo definito, stipendio fisso e forte specializzazione funzionale.
Il secondo con progetti specifici, remunerazione variabile, prevalenza di competenze gestionali e trasversali.
La convivenza tra le due “specie” era di tipo collaborativo/competitivo con i manager a riprendere i consulenti per la loro “superficialità”; i consulenti a combattere con le “concrete heads” interne di riferimento.
Da un po’ di tempo le cose sono cambiate (anche qui si può chiamare in causa il Covid, ma era comunque un trend pre-esistente).
Complici le recenti crisi economiche ma anche altri cambiamenti strutturali nei cicli di vita dell’innovazione di prodotto e di filiera, le aziende stanno vivendo continui mutamenti di fronte (positivi e negativi) che richiedono frequenti revisioni dei loro modelli organizzativi.
Ecco che, di conseguenza, l’imprenditore si trova nella necessità di dotarsi di nuove competenze eccellenti e di sostituirne altre non più coerenti.
I tradizionali meccanismi di ricerca e selezione di figure executive mostrano la corda per i tempi lunghi e i servizi costosi; i rischi di inserire costi fissi in azienda senza certezza di risultati aumentano.
Il mercato delle competenze manifesta sempre più chiaramente la necessità di nuovi modelli di impiego di risorse manageriali e gestionali.
Da qui, la convergenza al centro: al manager viene chiesta flessibilità e capacità di lavorare per progetti ed obiettivi; al consulente viene chiesta la capacità di andare oltre il momento “prescrittivo” e di essere protagonista anche della fase realizzativa.
Oggi, la soluzione più vicina a queste esigenze è la figura del Temporary Manager: abbina, infatti, la competenza specialistica con la flessibilità dell’impegno temporale. E sono nate diverse strutture che “somministrano” singole competenze manageriali alle aziende.
Noi riteniamo che questo bisogno di competenze eccellenti e flessibili vada, però, gestito in un modo diverso.
La figura del singolo Temporary rischia di avere un’efficacia limitata sia per un tema di competenze (nessuno può essere tuttologo) che per capacità di governare l’organizzazione (il personale interno può considerarlo un “fenomeno passeggero”).
Per gestire al meglio questa opportunità occorre seguire alcune indicazioni, secondo noi, fondamentali. Si tratta, infatti, di considerare il tema come un vero processo di outsourcing.
Quindi:
Mappare le competenze distintive rispetto a quelle standard
L’azienda deve avere chiare quali siano le competenze che generano vantaggio competitivo e quelle che generano ottimizzazioni operative.
Per le prime l’outsourcing può esserci ma solo come un percorso “ponte” nell’ottica di creare una competenza proprietaria.
Le seconde possono, invece, essere stabilmente in outsourcing, secondo il principio di specializzazione funzionale e con l’ottica “pay per use”.
Definire un piano strategico di outsourcing
Il principio di autorità funzionale (punto debole dei modelli Temporary) va superato introducendo in azienda delle forti logiche progettuali che coinvolgono risorse interne e risorse in outsourcing. Impostando, quindi, logiche operative orientate ai processi e non alle funzioni rendendo sempre meno significativi i “confini” tra personale interno, personale in outsourcing, personale dei clienti e dei fornitori.
Garantirsi l’accesso alle professionalità necessarie
Lo spirito dell’outsourcing di competenze gestionali risiede nella disponibilità e nell’accesso veloce alle competenze necessarie.
Serve quindi il supporto esterno di strutture professionali che non siano “selezionatori e somministratori” ma sappiano affiancare l’imprenditore con competenze in grado di cogliere le necessità, individuare le soluzioni e scegliere il mix più adeguato tra supporto consulenziale, temporary management, outsourcing gestionale.
Nicola Luca Gianesin – Chief Executive Officer GC&P