Superare le barriere ideologiche del Green Deal per conciliare tutela ambientale e crescita economica. È questa la sfida del nuovo Clean Industrial Deal lanciato dall’Ue a fine febbraio, che ha spostato il focus della transizione sul sistema industriale. Ma cosa si può fare, concretamente, per salvare l’obiettivo senza perdere lungo la strada la competitività della nostra industria? Quali sono le prospettive di imprese e attori dei territori su un processo irrinunciabile, che serve però sia sempre più accompagnato, in tempi così incerti?
Saranno questi i temi al centro del Green Economy Festival che tornerà ad animare Parma da giovedì 27 a domenica 30 marzo nell’ambito della Green Week, con oltre 50 incontri trasversali a temi come energia, edilizia, food e moda, focalizzati sulla ricerca di una via pragmatica alla transizione ecologica. Tra i protagonisti del festival ci sarà anche Gabriele Buia, presidente dell’Unione Parmense degli Industriali, secondo cui “la decarbonizzazione è un obiettivo ambizioso a cui non bisogna rinunciare e verso cui siamo sempre stati disponibili, ma rispetto a cui chiediamo di fornire gli strumenti necessari a tutte le aziende. La modifica del Green Deal è importante perché stanzia nuovi fondi, elimina la burocrazia e aiuta le imprese, misure nobili che forse avrebbero potuto essere attuate prima. Se però gli incentivi tardano ad arrivare, l’obiettivo del 2030 (emissioni di gas serra al -55% rispetto al 1990, ndr) è a rischio. L’Italia deve attuare le semplificazioni previste, altrimenti l’industria non potrà beneficiare degli aiuti”.
Rispetto all’attuazione del piano, Buia ricorda che “il sistema industriale ha tempi di reazione diversi. Dobbiamo perseguire l’obiettivo della decarbonizzazione coinvolgendo tutte le aziende e tutte le categorie, senza chiedere a un tipo di aziende di arrivare in anticipo come è stato fatto per l’automotive. Dobbiamo prendere per mano le aziende e far crescere la cultura della sostenibilità, incentivando il raggiungimento degli obiettivi in tempi rapidi, senza lasciare indietro una grande fetta dell’industria. Serve un coinvolgimento uniforme, un criterio di uniformità per far arrivare tutti all’obiettivo, che può essere raggiunto solo se tutti mettono in atto le misure minime e necessarie. È un tema culturale, da sviluppare compatibilmente con le risorse di ogni azienda”.
Vincenzo Colla, vicepresidente della Regione Emilia-Romagna con delega alla Green Economy, cita il Pnrr come un’occasione persa: “Non sono state fatte politiche industriali e di filiera per i veri asset della mancata produttività come logistica, energia e mobilità, indispensabili per ridurre i costi e per la decarbonizzazione – spiega Colla, che venerdì 28 parteciperà al dibattito “Imprese green. Le difficoltà di oggi, le opportunità del futuro” –. Il Pnrr è finito, possiamo usare bene l’ultimo pezzo ma non ci saranno più soldi. Condivido il pensiero di Draghi e Letta sulla necessità di un nuovo mercato europeo, anche facendo un’operazione keynesiana che porti a un’alleanza pubblico-privato con progetti strategici 50-50. L’Europa deve ritrovare un orgoglio di stampo industriale e manifatturiero senza perdere i valori dell’economia sociale per far reggere imprese di qualità dentro il sistema. E non bisogna rinunciare alle relazioni con gli Usa, anzi bisogna incrementarle”.
A pagare il prezzo più alto del Green Deal è stato il settore dell’automotive, che secondo Buia “è stato spinto in modo eccessivo per centrare obiettivi irraggiungibili. È stato un volo pindarico, e ora dobbiamo impedire che ciò accada in altri settori industriali, tanto più che l’eventuale applicazione di nuovi dazi a settori come la farmaceutica o l’alimentare rischia di rendere la situazione ancora più complicata. Quando si verificano queste turbolenze, non bisogna imporre oneri troppo alti né chiedere investimenti significativi, perché le imprese non saranno in grado di farli. E se non c’è crescita economica non raggiungeremo gli obiettivi del 2030 e nemmeno la neutralità climatica nel 2050, perché non ci saranno investimenti in Esg”.
A proposito di pragmatismo e automotive, uno spunto interessante arriva da Luca De Meo, ad di Renault ed ex presidente di Acea. “La regolamentazione europea degli ultimi vent’anni ha fallito, e ora si cerca di risolvere tutto con l’elettrico – ha dichiarato De Meo lo scorso febbraio, nel corso di un evento sul rilancio dell’industria al Kilometro Rosso di Bergamo –. Questa soluzione è stata spinta dal mercato tedesco, che voleva produrre macchine più complesse, grandi e pesanti. Questo ha avuto un effetto devastante sui Paesi produttori come Francia, Italia e in misura minore Spagna, dove la gente compra macchine piccole perché ha meno soldi o perché deve entrare nei centri storici delle città. Dobbiamo tornare a fare macchine piccole, mentre la regolamentazione rende queste macchine totalmente non profittevoli”.
“Tutti gli istituti indipendenti che abbiamo coinvolto – spiega De Meo – ci dicono che nel 70% dei casi un’auto elettrica ha un impatto inferiore rispetto alle vetture a combustione, inclusi gli ibridi ricaricabili. Quindi l’auto elettrica ha sicuramente un impatto positivo sull’ambiente e vale la pena di continuare a investire su questa tecnologia, soprattutto su alcuni segmenti e applicazioni come le piccole vetture per la mobilità urbana e i veicoli commerciali per il last mile delivery”. Ciò non vuol dire che si debba puntare tutto sull’elettrico, ed è per questo che l’automotive invoca il concetto di neutralità tecnologica: De Meo evidenzia che “la regolamentazione ci obbliga a investire solo sull’elettrico, ma ci sono alcune applicazioni in cui la tecnologia dell’elettrico non è adatta e bisognerebbe lasciare agli ingegneri la creatività per trovare una soluzione. Le alternative sono diverse, inclusi carburanti sintetici, biocarburanti e ibridi. Il nemico non è una tecnologia invece di un’altra, è la Co2”.
A supporto di questa tesi, De Meo cita un esempio pratico: “Realizzare una Renault Twingo elettrica meno costosa di una vettura a combustione corrispondente per un utilizzo urbano da non più di 50 km al giorno è possibile, ma questo non vuol dire che dobbiamo puntare tutto su una sola tecnologia. I cinesi non stanno tornando indietro sull’elettrico, ma stanno includendo anche gli ibridi e gli ibridi ricaricabili. In Cina ci sono più del 50% di new energy vehicle, una definizione che comprende tre tecnologie: auto a batteria, range extender (piccola batteria con piccolo motore, ndr) e plugin hybrid (motore a combustione supportato da motore elettrico, ndr). L’elettrico puro in Cina rappresenta il 30%, e una grossa parte di questo parco è costituita da piccole vetture urbane di 3 metri con batterie per 15-20 km”.
Secondo De Meo, quindi, “parlare di energy vehicle lascia la possibilità di realizzare vetture elettriche nei segmenti dove ha senso, ma anche vetture con range extender e plugin hybrid per fare 100 km in elettrico e usare il motore a combustione su distanze più lunghe”. Colla concorda e anzi estende il discorso a tutte le filiere industriali: “Dobbiamo essere onnivori su tutte le tecnologie che possono favorire il cambiamento, dall’idrogeno ai biocarburanti, dal biometano al nucleare di quarta generazione, passando per riciclo, riuso ed economia circolare. Chi pensa che l’approdo finale sia solo su alcune tecnologie fa un errore: è sempre il mix tecnologico che fa la competizione, anche per utilizzi e bisogni diversi, non bisogna avere ideologie e non bisogna perdere occasioni in ricerca e sviluppo sulla neutralità tecnologica”.
Passando dall’automotive all’edilizia, nel 2025 entra nel vivo anche la direttiva Energy Performance of Building Directive (Epbd), meglio nota come “Case Green”, con cui l’Ue punta alla decarbonizzazione del patrimonio edilizio europeo entro il 2050. Per Colla è un’occasione da sfruttare, anche perché “la rigenerazione urbana è stata un altro vuoto del Pnrr. Servono investimenti di medio-lungo periodo e un accompagnamento pubblico per realizzarli”. Buia ritiene che “le misure previste, seppur limitate dagli ultimi passaggi normativi, avranno degli impatti positivi, anche perché il 30% delle emissioni proviene dal patrimonio immobiliare”. Ma anche in questo caso il presidente degli industriali parmensi ritiene che “bisogna trovare gli incentivi, perché intervenire sugli immobili è oneroso e senza un aiuto gli italiani non possono investire. Basti pensare che i maggiori consumatori di energia sono i condomini, dove però una sola famiglia che non può sostenere le spese fa bloccare tutto. Le risorse devono arrivare dall’Ue, perché temo che il sistema italiano non sia in grado di trovarle”.
Gli incentivi sono considerati una priorità anche dalle imprese coinvolte nelle operazioni di efficientamento come la Eurotherm di Frangarto (Bz), già Società benefit e ora anche prima B Corp nel settore dei sistemi radianti per la climatizzazione. “È vero che c’è stata l’esperienza negativa del Superbonus, ma senza incentivi adeguati le famiglie non potrebbero affrontare il cambiamento verso la nuova Epbd – commenta Michele Bottoni, dg di Eurotherm –. L’accessibilità delle famiglie all’efficientamento dipende anche dagli incentivi, che sono essenziali per supportare il cambiamento. Lo Stato deve fare la sua parte e devono farla anche gli istituti finanziari, ad esempio offrendo mutui agevolati. Eurotherm sta investendo ingenti risorse in ricerca e sviluppo per identificare le tecnologie che potrebbero essere integrate negli edifici. L’obiettivo a breve termine è installare impianti con pompe di calore in tutte le abitazioni, in conformità con le normative”.
Per Bottoni, gli errori del passato non verranno ripetuti: “Il Superbonus ha creato un mercato gonfiato intorno a cappotti e finestre, ma ha anche dimostrato che per efficientare un edificio non basta intervenire solo sull’involucro ed è fondamentale rinnovare l’impiantistica. Uno studio ha evidenziato che, passando da radiatore a impianto a pavimento e da caldaia a pompa di calore, senza intervenire sull’involucro e sulle finestre, è comunque possibile ottenere un miglioramento nella classe energetica Epbd”. I vantaggi sono molteplici: “Elettrificare l’edificio elimina la necessità di gas in casa, fa ridurre la bolletta della luce e contribuisce ad aumentare il valore dell’abitazione – conclude Bottoni –. L’efficientamento migliora il benessere e il comfort interno, aumentando la qualità dell’aria negli ambienti, creando un’area uniforme”.